Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Adunata sul Grappa tra sudate e alcol Ma è una festa unica

Il giornalist­a del Corriere della Sera racconta la sua esperienza «E in Veneto è tutta un’altra cosa»

- di Paolo Tomaselli

Il più amato I tifosi con i cappelli d’asino per Marzio Bruseghin erano dappertutt­o Il traguardo L’arrivo più bello in pianura? Per me non ci sono dubbi: è l’Arena di Verona

Se pensate che assomigli un po’ a un’adunata degli Alpini trasferita sulle Dolomiti o sul Monte Grappa, forse avete ragione voi.

E non sarò certo io a smentirvi o a dirvi che se poi vedete le bici con quattro ruote invece che con due sono problemi vostri. Ma questo clima di festa, sudata, alcolica e grigliata è una delle cose che ti restano dentro del Giro quando passa in Veneto.

Certo, succede anche dalle altre parti, soprattutt­o sulle salite, ci mancherebb­e. Ma il Giro in Veneto è differente? E se sì, in cosa? E perché? Da trevigiano trapiantat­o a Milano e in giro col Giro per una decina d’anni mi sono fatto spesso questa domanda e, come direbbe Marzullo, mi sono anche dato qualche risposta. Il Giro in Veneto è davvero un’altra cosa, su questo non credo ci siano molte discussion­i. Casomai non è certo che i veneti se ne rendano conto davvero, ma questo è un altro discorso e non riguarda certo solo il ciclismo.

La grande differenza tra il Giro in Veneto e quello in (quasi) tutto il resto d’Italia? La prima parola che mi viene in mente può sembrare forse fredda e distaccata ed è «competenza». Qui la bicicletta è una cosa seria, conosciuta, praticata, amata, coccolata. Qui non si sbagliano i nomi dei corridori, anche in maglia rosa. Non «si va al Giro» solo per i selfie o per sperare in un’inquadratu­ra in television­e. Magari può sembrare scontato, ma per chi parte dall’Olanda, dalla Danimarca o dalla Sardegna, arrivare in Veneto significa un po’ tornare a casa: la casa del ciclismo.

Perché qui tutti – o comunque la maggior parte - conoscono la materia assieme alle sue basi fondamenta­li, i suoi codici: dai giornalist­i, a quelli che governano il traffico, dagli sponsor ai ragazzini a bordo strada. Passando anche per gli amministra­tori locali che investono sul Giro e propongono i percorsi.

Sembrano dettagli. Ma sono i dettagli che fanno la differenza. E poi la competenza non è una cosa fredda o fine a se stessa, perché porta con sé una passione autentica, non legata quindi alle mode. Non a caso il giornalist­a più preparato e appassiona­to anche nella sua scrittura che ho visto al Giro è veneto ed è Antonio Frigo.

Il corridore più amato che abbia mai visto in questi anni, soprattutt­o in proporzion­e alle pochissime vittorie ottenute, è veneto ed è Marzio Bruseghin: i cappelli d’asino dei suoi tifosi spuntavano ovunque, anche nelle partenze dall’estero.

Il costruttor­e italiano più importante e vincente, è veneto, ed è Fausto Pinarello. PoMeglio trei andare avanti, con l’allenatore di Nibali, Paolo Slongo. Il direttore sportivo del trionfo di Ivan Basso all’Arena, Stefano Zanatta. Come è venetissim­o l’uomo che da una vita governa il quartier tappa del Giro ed è capace di trovare una soluzione a tutti i problemi tecnici, Angelo Morlin. non continuare con la lista, perché sono tutti trevigiani come me e non vorrei mai essere accusato di campanilis­mo.

Ma se il Veneto al Giro d’Italia è diverso anche dalle altre grandi regioni ciclistich­e Lombardia, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna – allora Treviso è la capitale di questa differenza: se penso alla pioggia nel 2013 caduta prima della volata di Cavendish e alla gente che comunque è rimasta lì ad aspettare l’arrivo, allora penso a una passione con radici profonde.

Certo, ci sono cartoline dal Giro più belle o emozionant­i. Come quella al Lido di Venezia nel 2009, con Armstrong seduto alla presentazi­one tra le colonne di Palazzo Ducale: allora non era un reietto della bici, ma il vincitore di 7 Tour de France sopravviss­uto al cancro.

E poi l’Arena di Verona, con l’arrivo di Ivan Basso in rosa dopo la squalifica: lo scenario complessiv­o (l’Arena è il traguardo in pianura più bello del mondo? Per me sì) e la storia individual­e raramente si sono esaltati così a vicenda negli ultimi anni.

Le Tre Cime che hanno incoronato Nibali, sotto la neve a fine maggio non sono certo da meno. Ma il Grappa del 2014, con la cronoscala­ta in cui Aru sfidava Quintana, come clima forse è irraggiung­ibile: per qualcuno c’erano centomila persone, ma anche se fossero state la metà va bene lo stesso, perché è stata una cosa unica.

In salita, col pubblico ai lati che si è bevuto anche il palloncino dell’alcoltest, la macchina fatica a procedere, soprattutt­o nei tornanti stretti. Due gocce d’acqua fanno slittare la ruota posteriore. La puzza di frizione copre (per un attimo) quella delle grigliate. E allora? Ci pensa una squadra di alpini a spingerci e a rimetterci sulla giusta strada. Solo al Giro. Solo in Veneto.

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