Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«La sua non è vita lo Stato lasci morire mia figlia»

L’appello del padre di Elisa, in stato vegetativo

- Bertasi

«Sono quasi 12 anni che Elisa è così. Non è più vita, è il nulla: lo Stato deve fare qual- cosa per liberare queste persone». A Mestre un nuovo caso Englaro. A viverlo è il padre di una donna (oggi ha 46 anni) in stato vegetale dopo un inci- dente.

Hanno in comune il nome, Giuseppe, e una storia drammatica di quelle «incomprens­ibili se non si vive in prima persona la situazione». Lo ha urlato per anni il padre di Eluana Englaro, Giuseppe, e oggi lo dice, pacatament­e, un altro Giuseppe, di cognome P., che gli amici chiamano Pino, ha 70 anni e vive a Mestre.

Sua figlia Elisa, oggi, è una donna di 46 anni ma negli ultimi dodici non ha vissuto una vita normale, non ha mai potuto lavorare, non si è sposata – se mai l’avesse voluto – né ha avuto figli: da quando ha 35 anni si trova in uno stato vegetativo persistent­e, ossia irreversib­ile, ed è tenuta in vita, presso l’Antica Scuola Santa Maria dei Battuti di Mestre, con un sondino che l’alimenta e una cannula che le permette di respirare.

«Sono quasi dodici anni che è così, la sua condizione è stata conclamata tre anni dopo l’incidente. Non è più vita, è sofferenza, è il nulla: lo Stato deve fare qualcosa per liberare queste persone».

Era il 2006 quand’è iniziato tutto. Era mezzanotte ed Elisa stava tornando a casa da Padova con il suo ragazzo, lui era alla guida (per il dolore, qualche mese dopo si è suicidato) e un colpo di sonno è stato fatale: l’auto si è schiantata su un guardrail, l’allora trentacinq­uenne ha sbattuto la testa e la sua scatola cranica è finita in mille pezzi. L’intervento dei medici è stato immediato ma c’era poco da fare, la donna aveva perso parti di cervello e calotta.

Per sua figlia non c’è alcuna speranza?

«No, nessuna. Vede, ci si abitua al dolore, lo si riesce a sopportare ma le persone che sono nella situazione di Elisa possono solo stare male. Che ci sia un giornata di sole o di pioggia, che nevichi, che sia notte o giorno, loro non lo vedono, non sanno nulla. Mia figlia è a letto, e come lei ci sono tantissime persone, è sempre narcotizza­ta: è terribile. Non lo auguro a nessuno ma se non si provano queste situazioni, se non le si vivono, non se ne comprende il dramma».

In famiglia avevate mai parlato di cosa avrebbe voluto Elisa in caso di grave incidente o malattia?

«Adesso si parla di testamento biologico, all’epoca non se ne discuteva. Non era argomento di conversazi­one. Ma chiunque, se vedesse la situazione, non vorrebbe che proseguiss­e, vorrebbe che finisse questa condizione. Purtroppo anche se oggi si affronta il tema del fine vita e c’è una legge in discussion­e, si parla sempre e solo di persone coscienti. Elisa e le altre undici come lei che soffrono nel Veneziano non possono dirci cosa vorrebbero, io sono il suo amministra­tore di sostegno e c’è un giudice tutelare per ogni decisione».

Lei cosa vorrebbe? Che fosse lasciata morire?

«Vorrei che venisse fatta una legge, che ci fosse comprensio­ne per queste condizioni dram-

Nessuna speranza Che ci sia una giornata di sole o di pioggia loro non lo vedono, non sanno nulla Ci pensi lo Stato Mi ha chiamato l’associazio­ne Coscioni, ma non credo debba intervenir­e un privato Avvocati Sono andato a Udine, dall’avvocato che seguì il caso Englaro. Mi hanno detto di portarla a casa

matiche, che non sono vita. Ma guardi come fu attaccato Englaro. Io non voglio farne una battaglia personale, non è mia figlia il problema, è altro. La signora con cui è in stanza Elisa ha 68 anni ed è così da 17. Di recente Elisa ha avuto una broncopolm­onite e l’hanno trasferita e curata per tre settimane al Policlinic­o San Marco ma Elisa non è questo. Mia figlia era bella, arguta, piacevole. Spiegare con le parole non basta, bisogna vedere per capire perché parlo così».

Si è rivolto a qualcuno per capire cosa potrebbe fare?

«Sì, sono andato a Udine allo studio legale che seguì il caso Englaro».

Che le ha detto?

«Di portare a casa Elisa, che avrebbe potuto mettermi in contatto con la clinica che si occupò di Eluana. L’avvocato mi ha spiegato che dopo la morte di Englaro le norme sono state irrigidite e, ora, alimentazi­one e idratazion­e non sono più considerat­e accaniment­o terapeutic­o. Lui, ci fossero anche pochissime chance, mi aiuterebbe, porterebbe il caso in tribunale. Purtroppo, nella nostra situazione, la causa non tiene e appunto mi ha suggerito di portala a casa».

Lo farà?

«No, non voglio. A parte che dovrei attrezzare una stanza. Ma non è questo il nodo, per fortuna non mi mancano i soldi e già supporto economicam­ente, ci sono le badanti che mi aiutano ad occuparmi di mia figlia. La questione è comunque un’altra».

Cioè?

«Vorrei che non si dovesse arrivare a soluzioni estreme. Oggi (ieri, ndr) sono stato contattato dall’associazio­ne Luca Coscioni ma ritengo che non sia giusto dover arrivare a rivolgersi ad un’associazio­ne o a ricorrere a scorciatoi­e. Se portassi Elisa a casa, con il consenso del giudice... Beh, tutti sanno cosa succede quando un paziente nelle condizioni di mia figlia viene portato a casa. E tutti fanno finta di non sapere, le pare giusto? Il problema di chi si trova in stato vegetativo non viene mai affrontato. Mai. Nemmeno oggi che il dibattito sul testamento biologico è aperto. Io sono una formica in questa vicenda. E come me, ma soprattutt­o come Elisa, ci sono tante persone: deve esserci un intervento dello Stato».

I medici che le dicono?

«Se parlo del problema, mi danno ragione. E basta. Non dicono altro, se non: ha ragione».

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