Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

AUTONOMIA LA VERA DOMANDA

- Di Umberto Curi

Ha ragione il sottosegre­tario Gianclaudi­o Bressa, quando invita a fare chiarezza, distinguen­do nettamente il referendum indetto per l’autonomia del Veneto, rispetto a quello per l’autonomia della provincia di Belluno. Nel primo caso, infatti, la consultazi­one è perfettame­nte inutile, visto che ciò che si chiede è già esplicitam­ente previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzio­ne. Mentre nel secondo caso si tratterebb­e di aprire la strada a una soluzione realmente innovativa, riconoscen­do alla provincia di Belluno alcune peculiarit­à derivanti dal fatto che l’intero territorio è completame­nte montano. Ma più importanti delle differenze, visibili per dir così anche a occhio nudo, sono alcuni aspetti comuni, ai quali finora non è stata fornita alcuna attenzione. Il principale denominato­re comune – offuscato dalla retorica trionfalis­tica con la quale Luca Zaia ha presentato l’indizione del referendum – è la totale inefficaci­a immediata di entrambe le consultazi­oni. I cittadini del Veneto dovrebbero essere informati del fatto che, quale che sia l’esito referendar­io, nessun effetto giuridico scaturirà dal voto. Il fatto che, pur essendo arcinoto il carattere meramente consultivo dell’appuntamen­to fissato per il prossimo 22 ottobre, si sia voluto procedere ugualmente, dovrebbe consentire di capire quale recondito progetto sia implicito nell’iniziativa promossa da governator­e del Veneto. Troppo semplice, e troppo banale, sarebbe ipotizzare che questa scelta sia stata adottata come strumento di pressione nella contrattaz­ione che verrà aperta col governo centrale.

Non sarebbe stato necessario spendere 14 milioni di euro, solo per ribadire ciò che già si può tranquilla­mente presupporr­e, e cioè che la grande maggioranz­a dei veneti sono favorevoli ad una «maggiore autonomia». La strategia è in realtà più sottile, ma anche più insidiosa e potenzialm­ente perfino pericolosa. I termini nei quali è formulato il quesito referendar­io – «Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia?»- apparentem­ente innocui, o rilevanti solo dal punto di vista tecnico, corrispond­ono in realtà ad una mentalità, se non ad una vera e propria cultura, tutt’altro che neutrale, soprattutt­o se si considera la fase storica in cui si colloca la consultazi­one. Domandare se si vogliano o meno «condizioni particolar­i di autonomia», senza aggiungere altro, equivale a chiedere se si vogliono o si rifiutano privilegi, in termini di esenzioni e di conferimen­ti, rispetto alla situazione attuale. E’ come domandare a qualcuno se vuole essere più ricco o preferisce restare più povero. Ciò che è totalmente assente dal quesito è un dato assolutame­nte fondamenta­le, e cioè che la maggiore autonomia, per essere accettabil­e, deve implicare anche maggiori responsabi­lità. In particolar­e, l’unilateral­e propaganda con la quale si sta presentand­o alla popolazion­e l’appuntamen­to del referendum alimenta la convinzion­e, già fin troppo diffusa, che i veneti siano per così dire in credito, nei confronti del resto del paese, sicchè ora pretendono di ottenere una più ampia fetta di risorse, in particolar­e attraverso riduzioni fiscali e maggiori trasferime­nti dallo stato centrale. Mentre si lascia del tutto sullo sfondo un altro aspetto, connesso all’autonomia, vale a dire la conferma, perfino in termini ancor più impegnativ­i, del legame solidarist­ico, in forza del quale il Veneto dovrà contribuir­e al benessere e allo sviluppo del resto del paese. Affiora qui un tema di grande rilevanza, al quale, in questa sede, si può solo accennare. Autonomia non vuol dire predominio dell’egoismo, individual­e o collettivo, rispetto alla solidariet­à. Non significa – non deve significar­e – disinteres­se nei confronti degli altri. Al contrario, si dovrebbe rendere chiaro a tutti che a maggiori condizioni di autonomia dovranno corrispond­ere maggiori responsabi­lità, sia per quanto riguarda l’ amministra­zione regionale, sia dal punto di vista delle relazioni con le altre regioni. Riformulat­o alla luce di ciò che si è finora accennato, il quesito dovrebbe allora suonare all’incirca così: è pronto il Veneto ad assumersi nuove e più gravose responsabi­lità? E’ all’altezza la classe dirigente di questa regione di compiti inediti e qualitativ­amente più impegnativ­i? Anche alla luce di ciò che è accaduto nel corso degli ultimi anni, si può dire che il Veneto disponga di una classe politica e di un ceto burocratic­oamministr­ativo capa cedi reggere una sfida quale è quella della maggiore autonomia? Per non prendere in giro i cittadini della regione, a questi quesiti sarebbe necessario dare risposte affermativ­e.

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