Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Dossier della Cgil: boom del part-time involontario
Il segretario Ferrari: sosteniamo la domanda interna
Secondo i dati della Cgil, in Veneto un lavoratore su cinque ha un lavoro a part-time. «Ma – spiega il segretario del sindacato, Christian Ferrari – non ci sarebbe niente di male se si trattasse di una variante volontaria; ma così non è. Il part-time è imposto ai nuovi assunti». «Insomma - aggiunge il leader Cgil - nella terra di mezzo, quella tra la grande crisi e una timida ripresa, il conto lo pagano i “piccoli”».
VENEZIA «È la terra di mezzo, quella tra la grande crisi e una timida ripresa. Il conto lo pagano i “piccoli”». Così Christian Ferrari, segretario generale della Cgil del Veneto, sui dati, non troppo esaltanti, relativi all’avanzata del part-time in regione. Sì, perché secondo Ferrari, dopo la «sanguinosa selezione darwiniana» subita dal territorio dal 2008 a due anni fa, il nuovo equilibrio nel mondo del lavoro in vista della quarta rivoluzione industriale è un misto di fragilità e sperequazioni. Grande assente, secondo Christian Ferrari, la politica industriale; convitato di pietra, invece, «una strategia sul lavoro che consideri non solo l’offerta, ma anche il sostegno alla domanda».
Ma andiamo con ordine. Secondo i dati della Cgil, In Veneto un lavoratore su cinque ha un lavoro a part-time. «Ora – continua Ferrari – non ci sarebbe niente di male se si trattasse di una variante volontaria; ma così non è. Il part-time è imposto ai nuovi assunti. All’imprenditore Tizio servono venti ore alla settimana? Caio è assunto per venti ore. Anche qui, è chiaro che ciò avviene in quella parte di aziende che non hanno capito che il mondo è cambiato, e che non bisogna più cercare di campare riducendo i costi, ma anzi si deve puntare sulla qualità, sull’innovazione».
Comunque sia, 12 anni fa il part-time riguardava il 13% dei dipendenti, ora il 36,5% con una crescita del 2,8% rispetto al 2016.
La Cgil si riferisce a dati Istat. «L’Istat – si legge - rileva nel 2016 in Veneto 384.900 lavoratori contrattualizzati con un part-time. Di questi, 315.400 sono dipendenti. Il loro numero supera del 65,6% i valori del 2004 (190.500 dipendenti a part time) e del 23,5% quelli del 2010 (255.400 lavoratori), a conferma del fatto che l’incremento del part-time non è solo un dato di flusso, ma che questa modalità si è ben assestata in regione divenendo un elemento strutturale del mercato del lavoro che via-via erode lo spazio occupato dai rapporti a tempo pieno, in particolare nei contratti a tempo indeterminato». Veneto Lavoro, invece, dà dati più aggiornati, e chiarisce (nella «Bussola» di settembre 2017) che al secondo trimestre dell’anno in corso e nel contesto del lavoro dipendente, sono stati assunti 85mila lavoratori part-time contro 147.800 full-time, e contro i 64.600 del secondo trimestre dello scorso anno.
Si diceva che il modello è sempre meno volontario. Sempre i dati riportati dalla Cgil «il part-time è sempre più una forma imposta. Nel 2016 la quota di part time involontario è pari al 64,7% tra i maschi part-timer e del 48,4% tra le donne. Tra i dipendenti i valori sono ancora più alti: 74,4% tra i maschi; 49,3% tra le femmine. Sono tassi più che doppi rispetto a quelli riscontrabili nel 2004 (maschi 29,2%; femmine 19,3%)».
Comunque sia, secondo Ferrari, questa tipologia di contratto dà vita «ad uno spreco di potenzialità, legato ad un lavoro che non basta a garantire la sicurezza economica e che non incrementa, ma anzi frena, la produttività». Ma come se ne esce? «Occorre l’intervento delle istituzioni – termina il segretario generale – per dar vita ad una nuova politica industriale, anche di intervento pubblico. Ci sono ancora tante aziende legate al mercato interno, che non esportano né procedono sulla via della digitalizzazione; sono quelle che puntano al ribasso. Devono essere accompagnate nel percorso dell’innovazione, di prodotto e di processo, tenendo conto delle logiche di filiera. E poi, si è visto che le politiche sul lavoro non possono prescindere dal sostegno alla domanda; quelle fondate solo sull’offerta, per ora non anno funzionato bene. Si parla di ripresa dell’occupazione. Ma se uno considera le ora lavorate in Veneto, siamo ancora molto indietro».