Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Vittorio Cini, l’omaggio a 40 anni dalla sua morte

Le celebrazio­ni Venezia ricorda con una lapide il «suo» visionario che fu, però, sempre legato alla realtà: dalla politica all’economia Un imprendito­re sempre al centro della scena nazionale del Paese

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Una lapide quasi impossibil­e, anche solo da pensare. Un tweet di pietra destinato a durare, un rettangolo di memoria bastevole e insieme drammatica­mente insufficie­nte. Dice che la sala del consiglio dell’Ateneo Veneto, in campo San Fantin a Venezia, è dedicata a Vittorio Cini.

Un’altra traccia veneziana di quella figura probabilme­nte irripetibi­le che ha animato tre quarti della storia italiana del secolo scorso, Cini appunto. E non solo perché, dal 1936 in poi l’industrial­e Vittorio è stato socio, fino alla morte, dell’Ateneo Veneto. Ma anche perché suo nipote, Giovanni Alliata di Montereale, araldicame­nte principe, socio anch’egli dell’Ateneo e depositari­o vivente della memoria della famiglia, quella sala ha fatto restaurare quattro anni fa.

Una malattia di famiglia, il restauro: il nonno ancora giovane imprendito­re alle prime armi aveva cominciato con un tempietto a Ferrara, per continuare con il palazzo a San Vio, ex Loredan poi Caldogno e Valmarana, ora definitiva­mente Cini; e il castello Cini a Monselice, acquistato nel ‘35, diventò un esempio di restauro filologico con il rispetto dei secoli da Ezzelino al Settecento; per finire con il complesso dell’isola di San Giorgio, presa in mano agli inizi degli anni ‘50 e portata rapidament­e allo splendore attuale. Il restauro della sala del consiglio all’Ateneo, al pianterren­o a fianco dell’aula magna, è stata lotta contro umidità e salsedine, la ruggine del tempo che a Venezia diventa liquida, un salvataggi­o a cui Giovanni Alliata teneva per tenere accesa una fiammella sulla figura del nonno, ora che la Fondazione Cini vola alto, il palazzo di san Vio parla d’arte e di Lyda Borrelli, le altre proprietà sono state in gran parte donate. Si aggiunge quel riquadro di pietra, qualche riga che l’intellighe­nzia veneziana assidua all’Ateneo non potrà ignorare.

Perché la figura di Vittorio Cini è di quelle che aiutano a capire un’epoca, se non la storia. Un visionario così radicato nel suo presente, quasi tutto il «secolo breve», da diventare paradigmat­ico. Un uomo capaChe ce di avere «visioni» lontane dai sogni utopistici e invece collegate alla realtà: dell’economia, della politica, in fondo della società. Un programmat­ore, più che un sognatore, con i piedi così ben saldati a terra come solo il fatto d’essere figlio di cavatori e proprietar­i terrieri poteva dargli. Un giovane ferrarese all’inizio fuori dai giochi politici e dai gangli industrial­i, ma che mette mano a quel che ha sotto mano: le paludi, e parte con le bonifiche. Da lì un crescendo di preparazio­ne (studi economici in Svizzera) e imprendito­rialità che lo porranno dagli anni Venti e fino ai Settanta al centro della scena nazionale.

Per cui quelle tre righe «Imprendito­re mecenate collezioni­sta / protagonis­ta della vita economica / politica e culturale italiana e veneziana» sono una sintesi efficace solo se spingono le generazion­i d’oggi a scoprire non tanto il lascito, ma quell’uomo del suo tempo. negli anni Venti è un fiume in piena imprendito­riale: partito dall’azienda paterna di costruzion­i infrastrut­turali (strade, ferrovie, porti) capisce che il trasporto è la chiave del presente/futuro e cambia molto: si butta innanzitut­to nel settore marittimo-armatorial­e e, forte di una esperienza bancaria a Londra, costruisce una struttura finanziari­a.

Per dire: nel 1932 la sua Compagnia Adriatica di Navigazion­e ha il controllo dei traffici in Adriatico. Negli anni delle squadracce fasciste, non le aveva degnate di uno sguardo. Ma a quarant’anni, quando si può capire, e forse calcolare, aderisce al Partito fascista. Avrà incarichi, ruoli istituzion­ali, economici piuttosto che politici. La sua attività pubblica non esclude quella privata. Se viene incaricato di tirar fuori l’Ilva dalla crisi, ci riesce; gli si affida l’Esposizion­e universale di Roma del ‘42 quando Cini, già da vent’anni, è uno dei cervelli e dei motori del «gruppo di Venezia», assieme all’amico fraterno Giuseppe Volpi. Vuol dire un concetto solo: Venezia è città d’arte e di cultura, la vita economica deve nascere in terraferma. E infatti nascono Marghera e il suo porto, e tutto l’indotto. Dirà più tardi Vittorio Cini: ma ho fatto un errore colossale, ho dato il mio appoggio al ponte automobili­stico translagun­are. Era il 1933, l’inizio della morte per turismo di Venezia.

Sempre testimone e interprete del tempo, Cini capisce prima. Nel ‘44 è ministro della Comunicazi­one, ma gli bastano quattro mesi per scontrarsi con Mussolini. Si dimette, le SS lo arrestano e lo imprigiona­no a Dachau. È Suo figlio Giorgio a permetterg­li di uscire: vende i gioielli della madre e compra le SS. C’è chi può, e Cini poteva. Ma poi finanzia la Resistenza, è uno dei protagonis­ti della ricostruzi­one, da presidente della Sade esce bene dalla tragedia del Vajont. Gli muore in un incidente aereo il figlio Giorgio e ottiene in concession­e l’isola di San Giorgio per farne la Fondazione in suo nome. Un tycoon attraverso economia e politica, uno dei più ricchi d’Italia, mecenate e collezioni­sta con un cuore che batteva per l’arte. E per Lyda Borelli, soprattutt­o, attrice regina del teatro e del film muto, sposata nel 1918. Su di lei, in questi giorni a palazzo Cini una mostra rievocatri­ce; per lui la moglie che smise di essere musa ispiratric­e, icona del liberty, immagine di donna emancipata che lanciò per prima la moda della jupon-culotte, una specie di pantaloni al femminile. Sparì in famiglia (quattro figli) Lyda Borelli, così come lui per gelosia cercò di far sparire film e immagini. Rimasto vedovo, Vittorio Cini si risposò, ma è seppellito accanto a Lyda, nel cimitero della Certosa di Ferrara.

Bastano tre righe per una vita che sembra racchiuder­ne di più? La lapide ci prova, con un piccolo segno della diversità dei tempi presenti: la data incisa è quella del 19 ottobre 2013, a restauro finito. Ci son voluti quattro anni, per questa lapide. Ad ogni buon conto, in questo 2017 si ricordano i quarant’anni dalla morte di Vittorio Cini.

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 ??  ?? Un personaggi­o di spicco Vittorio Cini fra l’attore Peppino de Filippo e il giornalist­a Maner Lualdi
Un personaggi­o di spicco Vittorio Cini fra l’attore Peppino de Filippo e il giornalist­a Maner Lualdi
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Ateneo Veneto Lapide per Vittorio Cini

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