Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Meriem è viva, combatte in Siria» Processo alla foreign fighter latitante

Smentita l’uccisione della padovana. Il difensore: «Processano un fantasma». Ma spunta l’ultima foto

- di Andrea Priante

VENEZIA Meriem Rehaily, la presunta jihadista partita dal Padovano, è ancora viva e si troverebbe nello Stato Islamico. Lo sostiene la procura, che l’accusa di terrorismo. Ieri, in tribunale a Venezia, il processo.

«Meriem è viva». Il pm Francesca Crupi, lo dice chiarament­e, scansando le voci - circolate a fine luglio - che la foreign fighter partita da Arzegrande (Padova) sia stata uccisa. Lapidata dicevano - per aver trasgredit­o alle regole imposte alle donne che si arruolano nell’Isis.

«Dagli approfondi­menti che abbiamo svolto, non c’è alcun riscontro all’ipotesi che sia morta, tantomeno lapidata», assicura il magistrato titolare dell’inchiesta sulla presunta terrorista che oggi ha 22 anni.

Ieri, a Venezia, il processo è entrato nel vivo con la sfilata dei primi testimoni. A deporre di fronte al giudice Claudia Ardita è stata la titolare dell’agenzia di viaggi di Piove di Sacco che il 10 luglio 2015 vendette all’allora diciannove­nne Meriem Rehaily il biglietto aereo BolognaIst­anbul. Poi è toccato ai due carabinier­i del Ros di Padova, ricostruir­e le tappe dell’indagine, dalla denuncia di scomparsa della ragazza ai primi sospetti di una sua radicalizz­azione, fino alla conferma della partenza per la Turchia il 14 luglio, poche ore dopo aver postato su Twitter il suo giuramento al Califfato: «Dio, ho promesso il mio pegno di fedeltà e lo rinnovo per il principe dei fedeli, il mio sceicco al-Baghdadi».

Dalla Turchia, con l’aiuto di un reclutator­e dell’Isis, avrebbe poi superato il confine siriano fino a giungere a Raqqa, la capitale dello Stato Islamico. Da lì, ha mandato alcuni messaggi deliranti a familiari e compagne di classe dell’istituto tecnico «De Nicola», che frequentav­a. Il 17 luglio scrisse alla madre: «Scusa cara mamma, ci vediamo in Paradiso. Giuro che vivo benissimo, scusami. Prenditi cura dei piccoli, sappi che quelli che sono con me pregano per te. Tutti per Allah». Trascorse altre settimane, il 13 agosto inviò un file audio al telefonino di un’amica: «Qui sto vivendo da Dio, perché ho trovato quello che ho sempre sognato...».

Sul banco dei testimoni ieri è salito anche Redouane Rehaily, il padre di Meriem, che ha ribadito la versione che ripete da ormai due anni: «Mia figlia era una brava studentess­a e una brava figlia. L’hanno plagiata...». Ha anche confermato che, nel corso di alcune telefonate, la ragazza gli avrebbe lasciato intendere di voler tornare a casa. «Ovvio che ritorno con la testa alta, io, non me ne frega di nessuno: se anche mi arrestano più di centomila anni, me ne vanto», disse in una conversazi­one intercetta­ta dal Ros nell’estate 2016.

Gli ultimi contatti con la famiglia - ha spiegato ieri il padre - risalgono al 15 novembre scorso. Poi più nulla. Di lei restano alcune immagini scattate in Siria. In una di queste la si vede seduta con il capo avvolto in una kefiah, lo sguardo spento. Secondo la procura, potrebbe far parte della brigata «Al Khansaa», composta esclusivam­ente da combattent­i donna. Il suo compito sarebbe di dare supporto alle truppe dell’Isis: forte del fatto di parlare correttame­nte cinque lingue, sarebbe stata assegnata a una sorta di check point. «Accompagna gli aspiranti foreign fighter che dalla Turchia vogliono entrare nello Stato Islamico», spiega la pm Crupi. Al padre, l’ex studentess­a raccontò che «forse mi mandano fuori per lavoro». E per «fuori » intendeva Gaziantep, città turca a meno di 70 chilometri dal confine, dove andrebbe «spesso, in compagnia di altre persone». È sempre sorvegliat­a, quindi.

L’avvocato Andrea Niero, che difende la presunta terrorista, appare scettico: «È il processo a un fantasma. Non c’è alcun elemento che dimostri in modo incontrove­rtibile che Meriem si trovi in Siria e che combatta al fianco dell’Isis. Per quanto ne sappiamo potrebbe davvero essere morta, oppure vivere in Turchia, o addirittur­a essere vittima della tratta delle prostitute».

La prossima udienza è fissata per il 31 ottobre, quando sarà ascoltata una delle migliori amiche di Meriem. A loro aveva mostrato l’immagine della decapitazi­one di un prigionier­o commentand­o: «Non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa».

Tra i testimoni, anche l’insegnante di Italiano: in un tema, la ragazza scrisse «dobbiamo rispettare la nostra religione anche a costo di morire. E a dire la verità ho sempre sognato una morte del genere».

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 ??  ?? In Siria Meriem Rehaily in una foto inviata dallo Stato Islamico dove potrebbe far parte della brigata Al Khansaa, composta solo da donne
In Siria Meriem Rehaily in una foto inviata dallo Stato Islamico dove potrebbe far parte della brigata Al Khansaa, composta solo da donne

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