Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Il Papa, mio zio e i segreti della Orlandi»

Treviso, il nipote di Camillo Cibin, l’ex guardia del corpo dei Papi: «La verità non si saprà»

- Di Giovanni Viafora

Nel dossier emerso in questi giorni, che elenchereb­be le spese sostenute dal Vaticano per il mantenimen­to fino al 1997 di Emanuela Orlandi, scomparsa nel 1983, c’è anche una voce che riguarda le trasferte a Londra di Camillo Cibin (in foto). Il trevigiano che per 60 anni è stato il capo della Gendarmeri­a vaticana. «Non ci credo — dice il nipote —. Ma i segreti mio zio se li è portati nella tomba».

SALGAREDA (TREVISO) Papa Wojtyla se lo tiene stretto, come fosse un figlio: con le braccia che affettuosa­mente gli cingono le spalle. E lui sorride, cosa che in pubblico accadeva raramente. Perché di solito Camillo Cibin, l’uomo che per quasi sessant’anni ha garantito la sicurezza dei Pontefici in Vaticano (sei per l’esattezza), non cedeva ad alcuna emozione. Riguardiam­o quella foto, che venne esposta nel 2012 a Salgareda, nel Trevigiano, quando a Cibin, che in quel paese era nato nel 1926, fu dedicato un piazzale. I due sembrano effettivam­ente legati da un rapporto profondo. E forse non poteva essere diversamen­te, dopo quegli anni terribili trascorsi uno a fianco all’altro: il giorno dell’attentato a Giovanni Paolo II, fu proprio Cibin, dopo gli spari, a scagliarsi oltre le transenne di legno di piazza San Pietro e a bloccare l’attentator­e, Mehmet Ali Agca.

Il fatto è che i tentacoli di quegli anni sembrano ancora non voler svanire. E così oggi di Cibin, che riposa nel cimitero del suo paese (è morto nel 2009, tre anni dopo aver lasciato la guida della Gendarmeri­a Vaticana al poliziotto Domenico Giani), si torna a parlare. Guarda caso, ancora per quel periodo. C’è il suo nome, infatti, nel dossier segreto — svelato nei giorni scorsi da Corriere della Sera e L’Espresso — che ha riacceso veleni e polemiche in Vaticano. Parliamo, ovviamente, del documento di cinque pagine, che sarebbe stato rubato nel 2014 dalla cassaforte di monsignor Vallejo Balda, una delle fonti dell’ultimo «Vatileaks», e che riportereb­be, a firma del cardinale di curia Lorenzo Antonetti, le spese occorse ai «servizi» del Papa fino al 1997 per «l’allontanam­ento domiciliar­e» di Emanuela Orlandi. La cittadina vaticana rapita il 22 giugno 1983, all’età di 15 anni, e mai più ritrovata. Tra i capitoli elencati all’interno di queste carte, infatti, ne compare uno che dice questo: «Spese trasferime­nto e permanenza Commendato­r Camillo Cibin presso 6 Ellerdale Road London: L. 18.000.000». Proprio a Londra, secondo quanto si comprende dalla lettura del dossier, sarebbe stata trasferita la ragazza. Per cui il fatto che Cibin fosse stato mandato più volte là (l’indirizzo è quello di un collegio di suore, il St. Marcellina Sister di Hampstead), farebbe intendere un uso coinvolgim­ento diretto nella vicenda.

Ma quanto c’è di vero? Il Vaticano, come si sa, ha immediatam­ente smentito la veridicità del dossier. Anche se ciò non è bastato a sopire le voci e i sospetti. Dal canto nostro abbiamo provato a metterci in contatto con uno dei tre figli di Cibin, Giannanton­io, che oggi lavora in un’azienda nell’Oxfordshir­e, in Inghilterr­a. Ma non abbiamo avuto alcuna risposta. «La famiglia è estremamen­te riservata», ci hanno detto in paese, a Salgareda, dove però ormai non vive più nessuno. «La moglie di Camillo vive a Roma, ma è protetta dalla privacy più assoluta — ci hanno spiegato ancora — non vogliono assolutame­nte alcun contatto con l’esterno».

Qui in Veneto, però, c’è ancora un parente di Cibin. Il nipote, che per altro gli era molto legato. Si tratta di Marino Cibin, 66 anni, che fa il cardiologo all’ospedale di Motta di Livenza. Un testimone di grande importanza. «So perché mi chiama», ci risponde subito al telefono. È gentile, parla con la voce bassa. «Lui per me era come un padre — ci dice —. Gli volevo molto bene». Ma quelle carte? «Non ci credo, sono tutte balle — prosegue —. No, non mi convincono in genere. Sa come si dice da queste parti? Batarie...». Ma lei si ricorda di viaggi a Londra di Camillo? «Lui viaggiava molto — prosegue il nipote —. Era tante volte in giro, anche per varie cose. Ma se andava non diceva niente a nessuno. Era di una riservatez­za assoluta. Anzi, direi pure tombale. D’altronde non sarebbe stato per sessant’anni il capo della Gendarmeri­a, non gliel’avrebbero fatto fare». Quindi non parlava con nessuno? «No, credo neanche con sua moglie. A lei diceva quello che sapevano tutti. Il resto no. Ricordo che lo zio aveva una memoria encicloped­ica, si ricordava ogni cosa. Anche a distanza di anni». Insistiamo ancora un po’. Se il dossier è falso significa allora che in Vaticano non si sono sopiti i veleni e i corvi. Questo cosa le fa pensare? «Una cosa sola — afferma il dottore —. Che con Camillo queste cose non sarebbero mai accadute. Fatalità sono cominciati a uscire fogli e foglietti da quando lui non c’era più. Era uno che non parlava. Non aveva nessun rapporto con i giornalist­i. Non ha mai parlato, soprattutt­o quando ci sono stati gli eventi grossi in cui lui era coinvolto in prima persona. Lavorava 20 ore al giorno e basta». E la Orlandi? «Nessuno saprà mai niente, i segreti, mio zio, se li è portati nella tomba».

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 ??  ?? Il documento Sopra il presunto dossier del Vaticano sulle spese per il mantenimen­to di Emanuela Orlandi. A destra Camillo Cibin alle spalle di Giovanni Paolo II
Il documento Sopra il presunto dossier del Vaticano sulle spese per il mantenimen­to di Emanuela Orlandi. A destra Camillo Cibin alle spalle di Giovanni Paolo II
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L’abbraccio La foto di Cibin mostrata nel 2012 a Salgareda

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