Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
LA SFIDA DEL CAPITALE UMANO
Si discute se la ripresa è congiunturale o strutturale e già il mercato delle professioni va in crisi. Si moltiplicano infatti, le proteste di imprese che non trovano personale. Qualificato. Non è una «crisi» nuova. Succedeva anche ai bei tempi che non trovavi un montatore per trasferte all’estero o che il saldatore-carpentiere ti piantava in asso dalla sera alla mattina. Era una «bella» crisi: lavoro ce n’era, in abbondanza. Oggi non sappiamo se lavoro ce n’è, e se ce ne sarà, in abbondanza. Ma già manca. Mancano persone disponibili in certi ambiti professionali. Problema vecchio, come detto. Ma è peggio dei vecchi tempi, va sottolineato: allora i giovani non emigravano e, volere o volare, o studiavano o lavoravano. Oggi, molti giovani non lavorano né studiano. E molti giovani: veneti, diplomati, laureati, svegli e motivati; prendono il largo e vanno all’estero. Dai 7.000 ai 10.000 per anno, solo dal Veneto. Qualcosa non funziona, allora. Qualcosa non s’è fatto, quindi. Per una volta, diciamolo, la colpa è sulle spalle del privato più che sul pubblico. Il pubblico qualcosa ha fatto in questi anni: ha riformato alcune leggi, s’è dato da fare per ricollocare e riqualificare licenziati e giovani (con interventi pubblico-privati, come in Regione Veneto), ha introdotto l’alternanza scuola lavoro. Il privato, invece: funziona esattamente come ieri. Ossia: male ieri, peggio oggi. Questo è il parere dei giovani di cui sopra, di quei 7.000/10.000 veneti studiati, svegli e motivati che anno dopo anno prendono tutte le strade del mondo fuorché le nostre.
Costoro non credono nelle imprese e tanto meno nel sindacato. Non credono che le imprese, le nostre imprese, apprezzino competenze e merito e manco ci pensano che ci pensi il sindacato. Sono convinti, e ne hanno esperienza, che altrove ti valutano prima e meglio. Magari ti «segano», ma di sicuro non ti chiudono nessuna porta. Sono poi convinti, e ne hanno esperienza, che qui passi mesi senza sapere perché, in stages o a tempo determinato. Poi magari non ti «segano», ma non hai che blande e corte prospettive di crescita professionale, di carriera. Il privato, quindi. E innanzitutto: le rappresentanze delle imprese e del lavoro. Che per qualche decennio si sono misurate sul costo del lavoro. Fatto. E poi? Il lavoro non è solo un costo. Che cos’é? Proposta non c’é. Almeno non è convincente, soprattutto per le professioni più alte, che non si trovano; soprattutto per i giovani «studiati», che se ne vanno. E la proposta non spetta al pubblico. Quali siano le competenze, quanto cambino e quanto pesino, quali riconoscimenti ricevano, sociali oltre che economici: tutto questo dovrebbe essere materia d’impresa, di imprese. Di parti sociali. Che dovrebbero dar luogo ad atti, o contratti che siano. Ad esempio: si rilasci ad ogni lavoratore un attestato di competenze, certificato da terzi (che non vuol dire pubblico). Ancora: si paghi la produttività non erga omnes ( e quindi poco), ma solo su competenze e disponibilità (e quindi tanto). Se ne parlava già nel secolo scorso, ma sembrava prematuro; adesso non facciamo passare cent’anni!
Anche perché la ripresa nel mondo ed in Europa è già strutturale. Se durerà in Italia e nel Veneto, dipenderà anche e soprattutto dal «capitale umano». Si faccia allora un atto, o un contratto, per tenerlo e farlo crescere qui.