Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Nella classe di soli stranieri «È occasione di confronto»
Le auto in sosta con le quattro frecce, i genitori con i bimbi per mano, il nonno vigile con la pettorina. Al suono dell’ultima campanella, il traffico davanti alla scuola elementare «Rosmini» di Padova segue un copione collaudato. Ma nel viavai qualcosa di diverso c’è: dalla porta dell’unica classe prima, infatti, si vedono uscire soltanto volti dai tratti slavi, asiatici e africani, sorridenti come accade ad ogni latitudine. Non è che gli italiani siano pochi o assenti, è che proprio non ci sono: i ventiquattro bimbi di prima sono tutti figli di stranieri. Nati e cresciuti a Padova ma pur sempre esotici, per il cognome e per la carnagione.
Che gli stranieri siano tanti non è un mistero: il contesto è quello multietnico dell’Arcella, il quartiere dietro alla Stazione dove i residenti stranieri sfiorano il 40 per cento e dove due anni fa Poste Italiane ha aperto il primo sportello multilingua del Nordest, per risolvere le croniche incomprensioni tra clienti e operatori. Che siano tutti però stupisce un po’: un’intera classe senza italiani autoctoni non si era mai vista, nemmeno da queste parti. È un caso destinato a far discutere, anche alla luce del dibattito sullo ius soli.
Maria Mapelli, preside del quarto istituto comprensivo che controlla la «Rosmini», non si scompone: «Ci sono genitori di sette nazionalità
La mamma È un’ottima opportunità. I bambini sono tranquilli e le maestre sono brave a farli interagire. Il nostro? Quartiere particolare ma siamo fiduciosi
diverse, ma i bambini sono scolarizzati e quasi tutti parlano italiano. Loro sono felici e le maestre serene: la scuola è più avanti di come viene percepita da fuori, questa classe è una sfida ma anche una ricchezza e un’occasione di confronto».
Avendo una sola classe a disposizione, la scuola non aveva alternative: «Le famiglie – spiega la preside - iscrivono i figli a febbraio, consultando lo stradario del Comune per trovare la scuola più vicina a casa. Può darsi che qualche genitore italiano scelga altre scuole per evitare classi con troppi stranieri ma la residenza conta molto: se ci sono tanti figli di stranieri, bisogna prendere atto che la città è cambiata. E poi la nostra è una scuola a tempo pieno: chi iscrive i figli qua ci tiene, altrimenti li mandava in altre scuole o non ce li mandava proprio. Il vero problema sarebbe quello».
Qualche accorgimento è necessario: «Faremo un test d’ingresso per valutare la preparazione dei bambini e proporremo alcune attività di supporto con esperti esterni, soprattutto riguardo alla scrittura. Le maestre parlano anche in inglese per farsi capire da chi non sa l’italiano, ma anche questo è un arricchimento».
Qualche genitore avrebbe detto che senza bimbi italiani non c’è vera integrazione: «Le maestre sono italiane, così come molti bambini delle altre classi – risponde la preside -. Apprendere la lingua e la cultura italiana significa integrarsi, a prescindere dalla nazionalità dei compagni».
La prima multietnica per ora raccoglie solo consensi: «È un’ottima opportunità – dice Susanna, mamma di un bimbo che va in terza -. I bambini sono tranquilli e le maestre sono brave a farli interagire. Il nostro è un quartiere particolare ma siamo fiduciosi: i bimbi stranieri hanno voglia di apprendere e le famiglie sono premurose». Donatus, nigeriano, ha il figlio iscritto in prima: «I bimbi sono tutti stranieri perché in Italia siamo tanti. Mio figlio? Si trova bene e la scuola gli piace molto».