Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Non solo Mose, la procura: Baita a processo per l’Expo

È accusato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulla piastra. Coinvolto anche Morbiolo, ex Coveco

- Zorzi

C’è il processo di San Marino per le false fatture che servivano per le tangenti. E presto quello sul filone principale per le mazzette del Mose. Ma Piergiorgi­o Baita dovrà affrontare anche un altro processo, quello per la «piastra» dell’Expo di Milano: la procura lo accusa di corruzione, turbativa d’asta e ricettazio­ne: avrebbe ricevuto in anticipo da un architetto dei documenti di gara in cambio di un incarico 30 mila euro. La difesa: tutto falso.

Nel processo del Mose appena concluso è stato uno dei «grandi accusatori»: le sue dichiarazi­oni, per esempio, sono state ritenute credibili dai giudici quando ha dichiarato che la sua Mantovani fu costretta a legarsi alla romana Socostramo di Erasmo Cinque affinché l’ex ministro Altero Matteoli (entrambi condannati a 4 anni), affidasse al Consorzio Venezia Nuova i lavori di marginamen­to di Porto Marghera. E sempre nell’inchiesta Mose sta però per arrivare il conto anche per lui, visto che la procura di Venezia è pronta a portarlo a processo per corruzione, con un probabile patteggiam­ento in continuazi­one a quello (un anno e 10 mesi) per i reati fiscali nel filone che portò al suo arresto del 28 febbraio 2013. Ma ora per Piergiorgi­o Baita, l’ex presidente del colosso padovano delle costruzion­i, si avvicina anche il processo milanese sulla «piastra» dell’Expo del 2015: e anche lì è chiamato a rispondere di corruzione, oltre che di turbativa d’asta e ricettazio­ne. E con lui, sul banco degli imputati per gli stessi reati, ci sarà un altro veneto già finito nell’inchiesta Mose, da cui è uscito patteggian­do una pena di un anno e 4 mesi: Franco Morbiolo, l’ex presidente del Coveco (il consorzio delle coop venete), alleato di Mantovani anche a Milano.

Martedì la procura generale di Milano ha notificato la richiesta di rinvio a giudizio proprio alla Mantovani e al Coveco, accusate per non aver saputo prevenire i reati dei propri manager. Un’anticipazi­one dovuta a motivi formali, visto che nei prossimi giorni sarebbe scaduta la prescrizio­ne quinquenna­le (i fatti contestati sono del 2012), a cui seguirà a breve la notifica a tutti gli indagati – tra cui Baita e Morbiolo – con la data di fissazione dell’udienza preliminar­e. Una brutta notizia per Baita, che può gioire solo per una cosa: la caduta di uno dei capi d’imputazion­e a lui contestato, il tentato abuso d’ufficio in concorso con l’ex dirigente di Expo Angelo Paris per aver quest’ultimo cercato di favorire la Mantovani riconoscen­dole più riserve del dovuto (all’epoca quasi 30 milioni, poi stoppati).

Resta invece, per lui e Morbiolo, l’accusa di aver ricevuto in anticipo i disegni di gara dall’architetto Dario Comini, membro del pool di tecnici che aveva progettato per conto di Expo la piastra, l’opera fondamenta­le dell’esposizion­e universale, sulla quale sarebbero poi stati costruiti tutti i padiglioni nazionali. Per questo ci sono le accuse di turbativa d’asta (per aver alterato la gara grazie a informazio­ni avute prima) e di ricettazio­ne (per aver ricevuto i file «trafugati» da Comini). La corruzione nascerebbe dal fatto che Comini, che aveva anche un suo studio profession­ale, avrebbe ricevuto un incarico proprio a metà 2012, da Eit Studio, una delle società del Coveco, da 30 mila euro: pagamento che gli inquirenti mettono in relazione con una seconda fattura da 55 mila euro tra Eit Studio e Mantovani, che avrebbe creato la «provvista» per la consulenza­tangente. Secondo le imputazion­i notificate, invece, è decaduta una delle accuse in cui Mantovani sarebbe stata parte lesa, cioè la tentata turbativa d’asta messa in atto da Paolo Pizzarotti, titolare dell’omonima impresa, per cercare di convincere Baita a farsi da parte, come lo stesso manager raccontò ai pm. Non è un mistero infatti che la vittoria della Mantovani fu un’enorme sorpresa, grazie a un ribasso da capogiro del 41 per cento rispetto ai 272 milioni di base d’asta, tanto da far gridare all’«offerta anomala». La procura generale, dopo le deduzioni dei legali degli indagati, si è però convinta che il reato non ci sia stato e dovrebbe archiviare. In questa fase era invece restato alla finestra l’avvocato Alessandro Rampinelli, legale di Baita, che contesta alla radice l’inchiesta. «Il reato più grave è la ricettazio­ne - spiega Rampinelli - siccome i file sono stati trovati lo scorso dicembre nel corso di una nuova perquisizi­one all’azienda, riteniamo che sia competente la procura di Padova. Detto questo, contestiam­o alla radice tutte le accuse: l’ingegner Baita non conosce questo Comini».

Martedì per Baita si è svolta un’altra udienza del processo di San Marino, dove deve rispondere dei reati fiscali per i quali – secondo la difesa – ha già patteggiat­o in Italia (la sentenza è prevista per novembre). Ieri invece a Roma si è aperta con un nulla di fatto l’udienza preliminar­e sulle bonifiche di Grado e Marano, che vede imputato, tra gli altri, l’ex presidente del Cvn Giovanni Mazzacurat­i: proprio a lui non è arrivata la notifica della fissazione, spedita al residence romano dove aveva la residenza quando era il «doge» di Venezia. Ora, come tutti sanno, vive invece a La Jolla in California.

I processi di Baita L’ex AD di Mantovani è coinvolto in processi a Venezia, Milano e San Marino

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