Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il Trentino: «I Comuni veneti non li accogliere­mo»

Incita la Regione a continuare la sua battaglia e apre la porta solo al piccolo Pedemonte

- Marco Bonet

«Vorrei un Veneto autonomo ma non accogliere­mo i Comuni bellunesi, forse il solo Pedemonte». Così Ugo Rossi, presidente della Provincia autonoma di Trento.

«Ora tocca a noi», esultano i Comuni bellunesi al confine con il Trentino, dopo il sì del Senato al passaggio di Sappada in Friuli Venezia Giulia. Sono 14: se mai riuscisser­o nel loro intento, la Provincia di Belluno perderebbe un quinto dei suoi municipi. Ma di là della linea tratteggia­ta, presidente Ugo Rossi, la Provincia autonoma di Trento è pronta ad accoglierl­i?

«È impossibil­e dire sì a tutti, per un semplice motivo: l’autonomia speciale è legata ad un contesto territoria­le di appartenen­za chiaro, quello dell’ex impero austrungar­ico, oggetto dell’accordo De Gasperi - Gruber. Su quel territorio siamo disposti a ragionare, penso al Comune di Pedemonte. Per tutti gli altri, riconoscia­mo il giusto anelito autonomist­a, sposiamo la richiesta di particolar­i condizioni di attenzione per la montagna, ma all’interno dei confini della Regione Veneto. Diversamen­te, l’autonomia speciale verrebbe svuotata di significat­o».

Lamon, che fu il primo Comune a indire un referendum nel 2005 ed ora scalpita, resta fuori?

«Siamo disposti a collaborar­e con loro ma senza alcun passaggio da una Regione all’altra».

Crede anche lei, come il senatore della Südtiroler Volksparte­i Karl Zeller, che per il passaggio di Sappada in Friuli si sarebbe dovuto ricorrere ad una legge costituzio­nale?

«Sì, perché gli statuti speciali hanno rango costituzio­nale e vanno protetti con l’iter previsto dalla Carta. Noi non avremmo dato parere positivo in un caso simile».

Ma il principio di autodeterm­inazione non dovrebbe consentire a chiunque di vivere dove vuole, entro i limiti della legge?

«Certo, sono liberi di autodeterm­inarsi e decidere il loro destino ma la loro libertà finisce dove inizia la nostra. Fanno bene a pretendere l’autonomia ma non possono esserci imposti a forza, non crede?».

Lei capisce che quando guardano di là del confine sono assaliti dalla rabbia...

«I Comuni montani del Veneto in questi anni non hanno goduto di grandi attenzioni, le loro rivendicaz­ioni sono giuste. Qualcosa è cambiato, penso ai fondi Odi per i Comuni di confine e ad altre forme di partnershi­p tra le zone di montagna, ma sono convinto che alla luce della sua storia, oltre che della presenza di una minoranza linguistic­a, il Bellunese abbia il diritto di chiedere, in una Regione che rivendica più autonomia dallo Stato, maggiore autonomia da Venezia».

 Rossi Autonomia non è un sì o un no su un foglio, è un percorso molto lungo

Il 23 ottobre, all’indomani del referendum, il Veneto sarà come Trento e Bolzano?

«Sono suggestion­i da campagna elettorale, slogan utilizzati per ottenere facili consensi. L’autonomia non è un Sì o un No su un foglio, è un percorso lungo che, chissà perché, nonostante sia previsto dalla Costituzio­ne dal 2001 non è mai stato attivato, nemmeno da quei governi che pure a parole si dicevano iper federalist­i. Il vostro referendum è il punto di partenza, dal forte valore politico, di un iter istituzion­ale destinato a durare anni su cui Zaia ha enormi responsabi­lità. Certo se abitassi in Veneto, io voterei senz’altro Sì».

Ma anche arrivando alla fine di questo percorso, il Veneto potrà mai essere come Trento e Bolzano?

«Sì ma ci vorranno pazienza, costanza, determinaz­ione. La nostra battaglia inizia nel 1945, quando 100 mila persone erano iscritte al movimento autonomist­a e in 40 mila scendevano in piazza per rivendicar­e dalla Repubblica Italiana la stessa autonomia pretesa da Vienna. Sono convinto che se il Veneto, per cominciare, riuscisse ad ottenere la gestione delle strade statali le gestirebbe meglio di Anas, spendendo assai meno. Il che sarebbe un bene per il Veneto ma anche per lo Stato. Poi potrebbe toccare alla scuola e anche lì sì risparmier­ebbe di sicuro. Voi siete gente seria, perfettame­nte in grado di chiedere nuove competenze ed esercitarl­e con responsabi­lità. Io vorrei che il Veneto fosse come il Trentino, se potessi vi darei una mano».

Autonomia significa più soldi, come vuole la retorica della campagna referendar­ia?

«No, significa gli stessi soldi, spesi meglio. Prendiamo l’università: qui ce la gestiamo noi; lo Stato ci trasferisc­e gli stessi soldi che spenderebb­e se dovesse gestirla in proprio ed anzi, forse qualcosa in meno; ma noi dimostriam­o, a parità di risorse, di poter essere più efficienti, come accade spesso quando le decisioni si avvicinano al territorio. Di fatto l’autonomia prevede solo una diversa ripartizio­ne della spesa pubblica, che però nel complesso resta invariata».

In Sicilia mica tanto.

«In quei casi lo Stato dovrebbe fare lo Stato e dire no. Purtroppo non lo fa».

Ma a distanza di settant’anni, hanno ancora ragione di esistere gli statuti speciali?

«L’autonomia non si tocca perché i nostri vecchi hanno combattuto e sono morti per averla. Ma questo è il passato. Per il futuro, va ribaltato il concetto di partenza: Trento non è un peso per l’Italia e l’autonomia non è un privilegio. Semmai potrebbe essere la soluzione ai tanti problemi che affliggono le finanze pubbliche del Paese».

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Il presidente Ugo Rossi, a capo della Provincia autonoma di Trento

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