Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Caso nella Lega «Autonomia, mai come Bolzano»
Il parlamentare Giorgetti gela Zaia: «Impossibile»
«Quella del Friuli Venezia Giulia è l’autonomia a cui possono sperare di arrivare la Lombardia e il Veneto». A smontare il perno attorno a cui ruota la campagna referendaria di Luca Zaia è Giancarlo Giorgetti, uomo forte del Car- roccio.
Il Veneto? Non sarà mai come Trento e Bolzano. L’ha ripetuto, fino allo sfinimento, il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa. Ma stavolta non è lui, esponente di spicco del Pd, a smontare il perno attorno a cui ruota la campagna referendaria del governatore Luca Zaia e del fronte del Sì, bensì il leghista Giancarlo Giorgetti, potente deputato lombardo, eminenza grigia del Carroccio sin dai tempi di Umberto Bossi. «Quella del Friuli Venezia Giulia è l’autonomia a cui, teoricamente, possono arrivare la Lombardia e il Veneto - ha detto Giorgetti intervistato martedì sera da Zapping, su Radio Uno -, certamente non quella del Trentino Alto Adige, che deriva da statuti che affondano le loro radici nella Storia». Ma come?, si sono chiesti gli ascoltatori veneti, ma allora la propaganda di questi giorni con i cartelli che rimbalzano sui profili social dei consiglieri regionali e il libretto messo a punto da Zaia (dove il parallelo con Trento e Bolzano ritorna esplicito alle domande 32, 46, 49, 53)? Probabilmente sarà un caso che proprio ieri, posando la prima pietra di una nuova ala dell’ospedale di Negrar, nel Veronese, Zaia abbia precisato: «Formalmente per avere la stessa autonomia del Trentino Alto Adige occorre cambiare la Costituzione, ma quello è un altro discorso. Se si trasferiscono ulteriori competenze, con il solo federalismo fiscale avremmo tutti i risultati che ci prefiggiamo».
L’intervento radiofonico di Giorgetti, come pure quello del governatore ieri a Radio 24, sono stati tesi in larga parte a tranquillizzare interlocutori e pubblico, forse anche perché nella Lega cresce il timore che quanto sta accadendo in Spagna, con la gente picchiata ai seggi dalla polizia, possa spaventare l’elettorato moderato, alimentando analogie tra la Catalogna, il Veneto e la Lombardia. «In comune c’è solo un popolo chiamato a votare - ha detto Giorgetti - qui si chiede l’autonomia, non l’indipendenza e lo Stato sta collaborando nell’organizzazione dell’appuntamento. Oggi non esiste alcuna possibilità di secessione, non ci sono le condizioni. L’autonomia, invece, magari un domani la potranno chiedere anche la Puglia e la Campania». Il leader della Lega Matteo Salvini è arrivato a definire «una forzatura» la chiamata al voto del popolo catalano («C’è una differenza totale con Veneto e Lombardia») e anche Zaia ha insistito: « Il nostro referendum è in linea con la Costituzione, non chiediamo nulla che non sia previsto dalla Carta. Ci sono 23 materie delegabili alla Regione e il referendum lo si fa per questo». Intanto, però, in consiglio regionale è appena stato ripresentata una legge per l’indizione di un referendum indipendentista, e sebbene Salvini abbia sentenziato: «Non ci sono nostalgie per la Padania», nella Lega non tutti la pensano come lui. A cominciare da Bossi: «L’autonomia è il contrario dell’indipendenza. Ci danno un po’ di soldi per non farci andar via e noi ci accontentiamo».
La questione non è peregrina, da legulei dell’esegesi leghista, anzi, è all’origine delle forti tensioni nate negli ultimi giorni tra la Lega e Fratelli d’Italia, alleati in Regione e, un domani, alle Politiche. Giorgia Meloni ha prima definito il voto del 22 ottobre «inutile», poi «propaganda», quindi «un oltraggio alla Patria pericoloso». E ieri, nonostante i tentativi del coordinatore veneto Sergio Berlato di sopire le polemiche («Meloni ha detto di non essere appassionata alla questione ma ha lasciato a noi, sul territorio, massima libertà di scegliere e noi ci siamo convintamente schierati per il Sì, perché qui non si è mai parlato di indipendenza»), ha rincarato: «Un referendum fatto così rischia di disgregare piuttosto che riaggregare». Laconica la replica di Zaia: «Se Meloni dice che i referendum non la appassionano ci può stare. Ma se dice che i referendum sono illegali o inutili va contro la Costituzione: la Consulta ha riconosciuto il diritto dei veneti di votare». E mentre nel centrodestra si litiga, il governo continua a stilettare: «Le dichiarazioni di Maroni e Zaia fanno sorridere - dice il ministro per la Coesione Claudio De Vincenti - col referendum stanno sfondando una porta aperta perché per chiedere un confronto col governo sull’autonomia bastava una lettera, come ha fatto l’Emilia, non serviva prendere dai loro bilanci 86 milioni di euro».