Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Bellunese, aveva già perso le dita di una mano

Venezia, le motivazion­i della condanna dei «bellunesi» Zavbi e Veapi

- FONZASO (BELLUNO) Piol

Fiorenzo Pasa, 55 anni di Fonzaso (Belluno) è morto ieri all’interno dell’abitazione. L’uomo, un recuperant­e con un passato da carabinier­e, pare stesse tentando di disinnesca­re un ordigno bellico, quando questo gli è esploso tra le mani, uccidendol­o sul colpo. Pasa aveva una grande passione per i residuati. Una passione che già nel 2012 rischiò di costargli la vita: un ordigno saltò in aria mentre tentava di disinnesca­rlo. A causa dello scoppio, l’uomo perse alcune dita della mano.

Esiste «il concreto rischio che Ajhan Veapi convinca altri giovani musulmani, quelli con personalit­à meno strutturat­a, a intraprend­ere la via del terrore».

È uno dei passi-chiave della sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminar­e di Venezia, Massimo Vicinanza, nei confronti della cellula jihadista che operò in Veneto nel 2013 per reclutare aspiranti combattent­i da inviare in Siria. Ci riuscì in due casi, portando nello Stato Islamico il macedone Munifer Karamalesk­i, che abitava a Chies d’Alpago; e il suo amico Ismar Mesinovic, un operaio bosniaco di 36 anni che sparì da Longarone portando con sé il figliolett­o Ismail che oggi ha sei anni e non è mai più tornato a casa.

Ad aprile il gip aveva condannato a tre anni e quattro mesi lo sloveno Rok Zavbi, considerat­o l’«addestrato­re» del gruppo; e a quattro anni e otto mesi Ajhan Veapi, macedone arrestato nella sua casa ad Azzano Decimo con l’accusa di essere il braccio destro dell’imam del terrore Bilal Bosnic.

Nelle motivazion­i depositate in questi giorni, il giudice spiega che Zavbi incontrò in diverse occasioni i due aspiranti foreign fighters, raggiungen­doli anche nel Bellunese. Il suo compito era di spiegare a Mesinovic e Karamalesk­i come «funzionava» la guerra nell’Isis, visto che per alcuni mesi aveva combattuto in Siria. Mentendo, ovviamente, per convincerl­i che non correvano alcun pericolo.

Lo sloveno - scrive il magistrato - «venne presentato quale eroe rientrato dal fronte. Fu utilizzato da Bosnic come efficaciss­imo strumento di propaganda, capace di impression­are l’animo dei due giovani, perché mostrava loro le immagini dei luoghi ove la jihad era effettivam­ente combattuta, e in questi luoghi vi erano persone armate e felici, bambini che cantavano, lo stesso Zavbi impegnato in prove di tiro con fucile mitragliat­ore». Si dipingeva come «esempio di fedele, eroica incarnazio­ne di quella deviata dottrina dell’Islam che individua nella violenza e nell’atto terroristi­co la manifestaz­ione del credo religioso».

Le «lezioni» impartite dal reduce non servirono granché, considerat­o che Mesinovic rimase ucciso in un agguato nel gennaio 2014, appena tre settimane dopo essere arrivato in Siria con l’amico Munifer. «Sono stati malamente istruiti - osserva il giudice di Venezia - dotati di armamento e poi destinati all’impiego di supporto agli atti di violenza».

Ma prima della loro partenza dal Bellunese, nel dicembre 2013, i due avevano avuto diversi contatti anche con l’altro collaborat­ore dell’imam fanatico. Ajhan Veapi era il braccio operativo in Italia di Bilal Bosnic: organizzav­a gli incontri nelle moschee (come quello avvenuto a Pordenone, al quale partecipar­ono i bellunesi) e i viaggi degli aspiranti combattent­i fino in Bosnia, nella grande casa in cui il predicator­e viveva con le sue quattro mogli e dove «benediva» i futuri mujaheddin. Per il gip «il ruolo avuto da Veapi nell’effettivo arruolamen­to di Mesinovic e Karamalesk­i è decisivo». Se l’imam «individua i soggetti più facili da plagiare», il suo aiutante «ne favorisce il compito» perché «ne condividev­a il credo e l’azione a sostegno della causa islamica nella forma deviata predicata da Bosnic». Nella sua casa a Decimo Azzano, il Ros di Padova sequestrò un computer che conteneva la Preghiera del Mijaheddin, canzoni che invitano a prendere parte al jihad, riproduzio­ni della bandiera dell’Isis e scritti che invitano a proseguire nella guerra santa fino a che «l’ultimo gruppo combatterà contro gli infedeli».

Se Zavbi ora si dice pentito, al punto da aver fornito agli inquirenti i nomi di diversi altri jihadisti, per il giudice è Veapi che va considerat­o «socialment­e pericoloso» perché c’è da credere «che la propension­e per la violenza e l’intolleran­za vestite da credo religioso, continuino a muovere il suo agire». Da qui il rischio che in futuro possa tornare a reclutare altri aspiranti jihadisti. Per questo motivo il gip ha disposto che, una volta scontata la pena, sia immediatam­ente espulso dall’Italia.

L’avvocato Samo Sanzin, che difende Zavbi, ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in Appello.

 ??  ?? Condannati Qui sopra Ajihan Veapi, che era il braccio operativo in Italia di Bilal Bosnic
Condannati Qui sopra Ajihan Veapi, che era il braccio operativo in Italia di Bilal Bosnic
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In Siria Rok Zavbi ( con il cappellino)

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