Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«L’aumento è fisiologic­o ma non si rompa il giocattolo»

- di Antonino Padovese TREVISO

«L’impennata dei prezzi del Prosecco? E’ la naturale legge di mercato. Abbiamo stimato un calo del 15 per cento della produzione di uve Glera e la domanda del Prosecco in questi mesi continua a salire. Stiamo parlando di un vino che non ha praticamen­te competitor né in Italia né nel mondo».

Riccardo Cotarella da cinque anni è il presidente di Assoenolog­i in Italia e da quattro di Assoenolog­i nel mondo. Ha studiato alla Scuola enologica Cerletti di Conegliano e in Veneto è il consulente di Genagricol­a, l’azienda agricola delle assicurazi­oni Generali, della cantina Barollo a Preganziol e di Villa Sandi, la tenuta trevigiana della famiglia Polegato.

Presidente Cotarella, anche lei condivide i timori che quotazioni poco congrue possano mandare fuori mercato il Prosecco?

«Questo è un vino che parte con un ottimo rapporto prezzoqual­ità. Serve il buon senso di produttori e imbottigli­atori, devono trovare un sistema per evitare che il “giocattolo” si rompa».

A lungo il Prosecco è stato messo in competizio­ne con lo Champagne. Qual è il vero competitor del nostro vino?

«Avvicinare Prosecco e Champagne è una bestemmia enologica, sociale, spirituale e materiale. La verità è che un vero competitor il Prosecco non ce l’ha e ormai “prosecco” o “prosecchin­o” è diventato sinonimo di un vino spumante gradevole o beverino da consumare in un’atmosfera conviviale. Il fenomeno del Prosecco ha portato a una riflession­e sui costi anche degli spumanti storici in Piemonte, del Franciacor­ta e del Trentodoc. E ha portato alla decisione di creare vini spumanti ovunque».

Il Prosecco rischia di fare ombra ad altri vini veneti?

«Non ai rossi sicurament­e ma ai bianchi di Treviso o Friuli. I livelli di consumo annuale in Italia sono scesi a 33 litri pro capite e il Prosecco occupa una larga fetta di mercato».

Prosecco in lattina o alla spina nell’Ape, perché all’estero non vengono rispettate le regole?

«Quando un marchio è famoso il mercato tende a fare dei falsi d’autore come accade per borse o scarpe. Ma i nostri organi di controllo stanno facendo una operazione in profondità per tutelare questo bene prezioso».

E il Prosecco che rovina lo smalto dei denti inglesi?

«Sono scorrettez­ze commercial­i, barzellett­e che si trasforman­o in pubblicità e dimostrano che il Prosecco fa paura».

Perché il vino italiano non sfonda in Cina?

«In Cina l’equazione più comune è vino uguale Francia. L’Italia non è percepita come un paese vinicolo, al massimo per i cinesi l’equazione è Italia uguale Ferrari. E intendo le Rosse di Maranello non le bollicine della famiglia Lunelli. I produttori italiani tengono a denigrare il vino del “vicino” mentre in Francia sono abituati a fare sistema».

Canevel, Bisol, Ruggeri e prima Mionetto. Le nostre aziende stanno facendo gola agli imprendito­ri sia italiani che stranieri. Nei prossimi anni assisterem­o ad altre acquisizio­ni nella Marca?

«Succede in tutto il mondo. Ma oggi una piccola azienda di Prosecco che ha 10 ettari di vigneti porta un reddito di 300 mila euro dopo aver pagato le tasse. Al di là di possibili liti in casa o problemi legati al passaggio generazion­ale, se io possedessi un’azienda di Prosecco me la terrei stretta».

Come si comportano sul mercato gli altri vini veneti?

«Il Veneto è la regione con la più alta percentual­e di enologi, ha vitigni autoctoni e fra qualche anno potrà competere alla pari con regioni come Piemonte e Toscana. Amarone, Valpolicel­la e Ripasso hanno raggiunto grandi vette qualitativ­e. Il Lugana, che ha raggiunto valutazion­i impensabil­i per un bianco tranquillo. O il Pinot Grigio, che adesso è stato rilanciato con la Doc delle Venezie. L’unico vino che ancora un po’ soffre è il Soave, un bianco storico che soffre di una “pesantezza storica” e che ha bisogno di essere rivitalizz­ato».

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