Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Dolore, verità, pietas: il corpo di Isabella

Padova, a quasi 2 anni dal delitto sono riprese le ricerche della segretaria uccisa e fatta sparire

- Di Giovanni Montanaro

L’argine, le piante, i cassonetti. L’umido, l’acqua, la nebbia, il caldo, la stagione che non si capisce com’è. Foglie. Cani che abbaiano. Camionette della polizia. Gente curiosa che viene allontanat­a. Profumi, rumori, frasi dette a mezza voce. Una traccia, una corsa, una cosa che prima non si era notata, che sembra importante. Poi, niente. Quel corpo che non si trova. Quel corpo che chissà dov’è.

L’argine, le piante, i cassonetti. L’umido, l’acqua, la nebbia, il caldo, la stagione che non si capisce com’è. Foglie. Cani che abbaiano. Camionette della polizia. Gente curiosa che viene allontanat­a. Profumi, rumori, frasi dette a mezza voce. Una traccia, una corsa, una cosa che prima non si era notata, che sembra importante. Poi, niente. Quel corpo che non si trova. Quel corpo che chissà dov’è. Sono passati quasi due anni, le ricerche sono state interrotte, un uomo è morto sott’acqua, per cercare Isabella; un vivo è morto per cercare un morto. Ma adesso, ancora, si riprende, nuovi strumenti, nuove speranze, ancora quei luoghi, un casolare, mucchi di cose, impronte, cose rotte.

«Dov’è il corpo?» chiede la madre. Il corpo è necessario. È la verità giudiziari­a, l’accertamen­to dei fatti; il corpo ricorda, il corpo rivela, scerne la menzogna e la verità, consente ogni indagine anatomopat­ologica e medico-legale. È oggetto, di per sé, di tutela. È res extra commercium, res sui generis, si dice, non si può vendere, non può essere oggetto di diritti patrimonia­li, ma non è nemmeno di nessuno, precisi doveri di cura si impongono, bisogna disporre della sua sorte. Il codice penale lo tutela

espressame­nte, il corpo morto, con reati intitolati «contro la pietà dei defunti»; è fatto divieto di commettere vilipendio sopra un cadavere o sulle sue ceneri, di occultare, sezionare o adoperare un cadavere.

Che cos’è che si tutela? La pietà nei confronti dei defunti, appunto, quella di chi resta, perché l’importante è la vita. E la pietà. Parola bellissima, la pietas, così nobile, così poco contempora­nea, poco social. Perché il corpo è necessario per un’altra verità, non solo

quella dei tribunali, ma quella che ciascuno si porta dentro e che non sa cosa sia, ma ce l’ha.

Un corpo bisogna seppellirl­o, cremarlo, disperdern­e le ceneri. È necessaria la fine, il funerale, l’addio, l’ultimo saluto, le cose che ricomincia­no; la libertà della vita, la delizia dell’affanno che diventa ricordo.

Già, la sepoltura, questo rito straziante e dolcissimo, che ci distingue dagli animali, anche se si dice che gli elefanti coprano con fascine e rami i loro compagni, dopo averli vegliati a lungo, e fanno fatica ad allontanar­si, vorrebbero restare lì, se solo servisse a qualcosa, ma forse serve a qualcosa.

Ognuno di noi farebbe come Antigone, che sfida il padre per dare pace al fratello. Come Foscolo, che continua a fuggire di gente in gente, e ha il solo desiderio di fermarsi al sepolcro del fratello Giovanni.

Gli egizi raffigurav­ano il defunto sopra i sarcofagi, perché restasse ancora, per fare finta che niente fosse finito. I greci considerav­ano fuori dall’Ade chi non trovava sepoltura. Palinuro, gettato in mare, chiede a Enea di ritrovare il suo corpo, tra i venti e i flutti, per seppellirl­o. E poi l’usanza dell’orecchino per i marinai maschi, perché qualcuno provvedess­e alla loro sepoltura, lontano da casa.

Le navi che ancora oggi solcano il Mediterran­eo per cercare i corpi di chi non è riuscito ad arrivare, di chi si è rovesciato. Persone che rischiano la vita per trovare i morti. La scomparsa, l’accidente, l’occasione, il destino più triste.

Ma anche il ricatto orrendo di chi tace, di chi non dice, che sia una dittatura come quella dei desapareci­dos argentini, una mafia o un criminale qualunque, talvolta per strategia, qualche altra solo per disprezzo. Come con Isabella. «Dov’è il corpo?» E così, li immagino, questi uomini, queste donne che escono dalla caserma al mattino, la luce è importante, sanno da caffè e si scambiano uno sguardo, anche con i cani, «sono passati quasi due anni», «due anni fa dov’ero?», quanto tempo è passato, e poi scendono giù, stivali, luoghi che conoscono, in cui ricomincia­no a cercare. Non l’hanno mai conosciuta, Isabella, forse si domandano che tipo fosse, qualche volta, ma forse no.

Guardano avanti, la cercano; non sanno esattament­e perché, ma quello che fanno è giusto.

Dov’è il corpo? Il corpo è necessario, è la verità giudiziari­a. Il corpo ricorda, rivela, scerne la menzogna e la verità. Consente ogni indagine

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Le ricerche Qui sopra la polizia sulle tracce del corpo di Isabella (la vittima, nella foto a sinistra). A destra Freddy Sorgato
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