Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

DAL FARE ALLA CULTURA DEL PENSARE

- Di Vittorio Filippi

Che tu possa vivere in un’epoca interessan­te, dicevano i cinesi per maledire qualcuno. Ora quest’epoca è decisament­e arrivata. Viviamo in un tempo storico senz’altro interessan­te, se vogliamo usare questo aggettivo. Altrimenti possiamo dire che viviamo tempi complessi ed anche decisament­e accelerati. La sociologia ci insegna che non sono mai esistite società statiche, ma società stabili e semplici. Se le società sono stabili e semplici tutto appare più facile, più comprensib­ile, più plausibile. Ma la nostra ormai da qualche tempo non è più tale: i paesaggi della comprensio­ne e della vita – individual­e e sociale – si sono fatti complicati, contraddit­tori, incerti e creano disorienta­mento, talvolta paura. Perché i paesaggi umani non ci appaiono più familiari come nel «piccolo mondo antico» di fogazzaria­na memoria. Anzi, proprio il Veneto, investito da una modernizza­zione particolar­mente intensa e veloce, non è certo più né piccolo né antico. E oggi deve gestire due sfide. La prima è, paradossal­mente, quella della ripresa: che c’è, condensata da un ottimo più 2 per cento di Pil per l’anno in corso, una crescita tirata da un robusto più 6 per cento di esportazio­ni. Ma la ripresa non ha molto senso se non perdura e si fa struttural­e e se non crea anche – per non rimanere un astratto numerino macroecono­mico – un migliorame­nto delle vite reali.

Ad esempio se non si accompagna ad una ripresa dell’occupazion­e (soprattutt­o giovanile) stabile o se non riduce le forbici della disuguagli­anza e del disagio. Non dimentichi­amoci che usciamo dal lungo tunnel di una crisi che – come in un crudele gioco dell’oca – ci ha portato indietro di molte caselle. E che non ha ridotto solo Pil, consumi, posti di lavoro, ma ha anche generato un malessere che non è mai divenuto conflitto sociale classico sempliceme­nte perché si è individual­izzato e perché i ceti medi e popolari (i «forgotten men», i dimenticat­i) incanalano sottotracc­ia il loro malcontent­o in sentimenti confusamen­te autoritari o identitari. Ma, come dice la saggezza di Seneca, se non sappiamo dove andare nessun vento (nemmeno quello del Pil) ci può essere favorevole. Certo, oggi è particolar­mente difficile scrutare il futuro e perfino capire il presente. Eppure è ineludibil­e farlo. Per questo è importante – e soprattutt­o auspicabil­e – che la Fondazione Nord Est, il «pensatoio» di Confindust­ria che ha accompagna­to con studi ed analisi la metamorfos­i socioecono­mica locale, riprenda a vivere. E fa piacere che si affacci ora in Veneto Eurispes, un noto istituto di ricerca sociale operante da 35 anni nella comprensio­ne di scenari e tendenze. Perché la cultura del fare – che ha connotato lo sviluppo del Veneto – oggi deve accompagna­rsi alla cultura del pensare. Del pensare lungo possibilme­nte. Altrimenti hanno ragione i cinesi: i tempi interessan­ti, se non sono capiti, diventano una maledizion­e.

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