Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
DAL FARE ALLA CULTURA DEL PENSARE
Che tu possa vivere in un’epoca interessante, dicevano i cinesi per maledire qualcuno. Ora quest’epoca è decisamente arrivata. Viviamo in un tempo storico senz’altro interessante, se vogliamo usare questo aggettivo. Altrimenti possiamo dire che viviamo tempi complessi ed anche decisamente accelerati. La sociologia ci insegna che non sono mai esistite società statiche, ma società stabili e semplici. Se le società sono stabili e semplici tutto appare più facile, più comprensibile, più plausibile. Ma la nostra ormai da qualche tempo non è più tale: i paesaggi della comprensione e della vita – individuale e sociale – si sono fatti complicati, contraddittori, incerti e creano disorientamento, talvolta paura. Perché i paesaggi umani non ci appaiono più familiari come nel «piccolo mondo antico» di fogazzariana memoria. Anzi, proprio il Veneto, investito da una modernizzazione particolarmente intensa e veloce, non è certo più né piccolo né antico. E oggi deve gestire due sfide. La prima è, paradossalmente, quella della ripresa: che c’è, condensata da un ottimo più 2 per cento di Pil per l’anno in corso, una crescita tirata da un robusto più 6 per cento di esportazioni. Ma la ripresa non ha molto senso se non perdura e si fa strutturale e se non crea anche – per non rimanere un astratto numerino macroeconomico – un miglioramento delle vite reali.
Ad esempio se non si accompagna ad una ripresa dell’occupazione (soprattutto giovanile) stabile o se non riduce le forbici della disuguaglianza e del disagio. Non dimentichiamoci che usciamo dal lungo tunnel di una crisi che – come in un crudele gioco dell’oca – ci ha portato indietro di molte caselle. E che non ha ridotto solo Pil, consumi, posti di lavoro, ma ha anche generato un malessere che non è mai divenuto conflitto sociale classico semplicemente perché si è individualizzato e perché i ceti medi e popolari (i «forgotten men», i dimenticati) incanalano sottotraccia il loro malcontento in sentimenti confusamente autoritari o identitari. Ma, come dice la saggezza di Seneca, se non sappiamo dove andare nessun vento (nemmeno quello del Pil) ci può essere favorevole. Certo, oggi è particolarmente difficile scrutare il futuro e perfino capire il presente. Eppure è ineludibile farlo. Per questo è importante – e soprattutto auspicabile – che la Fondazione Nord Est, il «pensatoio» di Confindustria che ha accompagnato con studi ed analisi la metamorfosi socioeconomica locale, riprenda a vivere. E fa piacere che si affacci ora in Veneto Eurispes, un noto istituto di ricerca sociale operante da 35 anni nella comprensione di scenari e tendenze. Perché la cultura del fare – che ha connotato lo sviluppo del Veneto – oggi deve accompagnarsi alla cultura del pensare. Del pensare lungo possibilmente. Altrimenti hanno ragione i cinesi: i tempi interessanti, se non sono capiti, diventano una maledizione.