Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Meriem, Sonia, Munifer l’incubo del rientro «Potrebbero colpire»

Dopo la caduta di Raqqa, foreign fighter in fuga. Si spera per Ismail

- Priante

VENEZIA Meriem, Sonia, Munifer. Mentre lo Stato Islamico è sul punto di disgregars­i, torna la preoccupaz­ione per un possibile rientro in Italia dei foreign fighters partiti dal Veneto. «Potrebbero compiere azioni kamikaze».

VENEZIA «Se Allah dice che ritorno, inshallah, allora ritorno…». È il luglio del 2016 quando Meriem Rehaily, la ventiduenn­e fuggita dal Padovano per arruolarsi nello Stato Islamico, risponde così al padre che al telefono la implora di rinunciare a quella follia e rimpatriar­e. Lei, che alle compagne di scuola confidava «Non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa», non esclude un rientro. Anzi, aggiunge: «Ovvio che ritorno con la testa alta, io, non me ne frega di nessuno: se anche mi arrestano più di centomila anni, me ne vanto…»

Ora, con Raqqa caduta e l’Isis allo sbando, molti foreign fighters sono in fuga. E il pericolo è che decidano davvero di fare rientro in Occidente, magari con dei documenti falsi. La nostra intelligen­ce è già al lavoro anche perché, come si legge nell’ordinanza che ordina l’immediato arresto di Meriem, a preoccupar­e è la sua «disponibil­ità al martirio. Allo stato non può escludersi la possibilit­à che l’indagata possa essere disponibil­e a mettere a segno azioni kamikaze da commettere anche in Italia e in particolar­e a Roma».

Un’eventualit­à che riguarda l’ex studentess­a padovana, ma non solo. Anche Sonia Khedhiri, 22 anni, sparita da Onè di Fonte (Treviso) nell’agosto del 2014, ora è ufficialme­nte inserita nelle liste dei foreign fighters in mano alle polizie di tutto il mondo: pur non essendo ancora interessat­a da un mandato di arresto internazio­nale (l’inchiesta della procura di Venezia è tuttora in corso), se venisse individuat­a verrebbe comunque bloccata.

Le ultime notizie, non confermate, la davano sposata al numero due dell’Isis, l’emiro Abu Hamza, che ha giurato: «Sono pronto a morire in battaglia con mia moglie». In realtà, il marito l’avrebbe mandata ad Al Mayadeen perché, dopo aver dato alla luce una bambina, era di nuovo incinta. Resta da capire se anche lei sia disposta a tornare «a testa alta» dai genitori che l’aspettano nel Trevigiano.

I timori di un possibile rientro in patria coinvolgon­o anche Munifer Karamalesk­i, 29 anni, partito nel 2013 da Palughetto di Chies d’Alpago (Belluno). Ferito in battaglia, per un periodo avrebbe custodito il «tesoro dell’Isis», un deposito che contiene il bottino di guerra. È ancora vivo, o almeno questa è l’ipotesi confortata dal fatto che il suo telefono, che utilizzava in Siria già nel 2016, da qualche mese è tornato attivo: sul proprio profilo Whatsapp, l’ex imbianchin­o diventato tagliagole si diverte a pubblicare immagini che alternano bandiere nere e mazzi di fiori.

Nell’ordinanza con la quale il giudice di Venezia ordina il suo immediato arresto, si legge che «solo il carcere può impedire che continui nell’opera di prosecuzio­ne in ruoli attivi funzionali all’associazio­ne terroristi­ca, con condotte finalizzat­e (…) a combattere direttamen­te, non solo nei teatri di guerra in Siria, ma anche poi, al rientro, in Stati nordafrica­ni oppure occidental­i, quindi anche in Italia».

Karamalesk­i è fuggito in Siria con la moglie Ajtena e i tre bambini piccoli, che ne frattempo hanno subìto l’indottrina­mento previsto per i figli dei combattent­i. Difficile capire quale sarà la loro sorte, ora che lo Stato Islamico sta crollando.

Le notizie che arrivano dal fronte di guerra vengono seguite con il fiato sospeso anche da Lidia Herrera, che vive nel Bellunese ed è la mamma del piccolo Ismail Davud, sei anni, trascinato in Siria nel dicembre del 2013 dal suo ex marito Ismar Mesinovic, rimasto poi ucciso in un’imboscata.

Il bimbo è già stato inserito nell’elenco internazio­nale delle persone scomparse. Si sa che potrebbe trovarsi nella cittadina di Manbij e nell’ultima nota della Direzione centrale della Polizia criminale si legge che le «Autorità dello Stato Islamico» hanno «consegnato il minore alle cure di una coppia provenient­e dalla Bosnia, tali Bato e Emina (...) ma non è stato possibile stabilire la loro identità». Serve a poco: la procura di Belluno si è arresa da tempo e l’inchiesta è stata archiviata lo scorso anno.

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Partiti dal Veneto Da sinistra, Sonia Khedhiri, partita da Onè di Fonte. Meriem Rehaily, fuggita da Arzergrand­e. Munifer Karamalesk­i viveva a Chies d’Alpago

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