Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Papà mi violentava, non andrà in cella ma almeno i giudici mi hanno creduta»
Condannato a 10 anni ma «graziato» dalla prescrizione. La vittima: «Iniziò che ero bambina»
TREVISO«La cosa più importante per me è che mi abbiano creduta. Posso sopportare che mio padre non vada in carcere ma non che si pensi che ho mentito e mi sono inventata l’orrore che ho vissuto».
A parlare è una giovane donna che, quando aveva appena otto anni, si è vista strappare l’infanzia e precipitare in un incubo di violenze dall’uomo che avrebbe dovuto amarla e proteggerla. Un padre, spesso ubriaco, che l’ha violentata per otto anni, arrivando a cederla agli amici del bar. Un uomo che, condannato a 10 anni in primo grado dal tribunale di Treviso, non farà un solo giorno di carcere grazie a un cavillo giuridico: nonostante anche i giudici della corte d’appello di Venezia abbiano riconosciuto la sua colpevolezza (confermando la condanna civile al risarcimento alla parte offesa), quegli stessi magistrati hanno però dovuto decretare il non luogo a procedere «per intervenuta prescrizione».
A salvarlo dalla cella, una sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione che ha reso comune, e quindi meno pesante, una delle aggravanti speciali del reato di violenza sessuale su minore del quale l’uomo era accusato. Questo ha portato la Corte a dover ricalcolare i tempi di prescrizione. Così l’orco si è salvato e non sconterà la sua pena.
«Provare rancore mi avrebbe impedito di ricominciare a vivere. E non lo proverò nemmeno adesso». Lasciarsi alle spalle ed elaborare quel passato tremendo, la giovane ha potuto farlo solo dopo essere finalmente riuscita a raccontare il dramma che il padre, alcolista, l’ha costretta a vivere. Aveva appena otto anni quando l’ha violentata la prima volta. Nel primo finesettimana nel quale, da separato, è rimasto da solo con lei. Da allora, e per otto lunghi anni, le violenze sono continuate.
La costringeva a subire rapporti sessuali, la attirava a casa con l’inganno: «Ti porto a vedere le giostre» e invece abusava di lei. E la minacciava: «Non raccontare nulla a nessuno». In un crescendo di violenza e depravazione culminati in quei pomeriggi al bar, quando un padre diventato mostro la dava in prestito agli amici. Nel 2003 l’uomo si è risposato, e le violenze sono finite. Ma non per lei, che a lungo ha tenuto dentro di sé quel terribile segreto, sopraffatta da quel peso. Con il tempo, però, ha trovato la forza di elaborarlo ed è riuscita a confidarsi prima con il fidanzato poi con la madre e i fratelli che l’hanno convinta a denunciare.
È così arrivato il processo di primo grado, nel quale ha affrontato il suo passato rispondendo alle domande del giudice, a quelle della difesa che cercava di farla cadere in contraddizione mentre raccontava le violenze. Ma il suo racconto è stato ritenuto pienamente credibile dai giudici che hanno condannato il padre. A sette anni di distanza è arrivata la sentenza d’appello, con la prescrizione, che cancella però solo il carcere, non la responsabilità dell’uomo.
«Lui non andrà in cella ma i giudici hanno capito che non mi sono inventata nulla. Magari l’avessi inventato, non avrei avuto l’infanzia devastata e la vita segnata per sempre» ha riferito la giovane al suo avvocato Aloma Piazza, che in tutti questi anni l’ha seguita e le è stata accanto.
La sentenza della Suprema Corte è arrivata a giugno, pochi mesi prima della data del processo d’appello. Ora molti altri stupratori di minori, potrebbero beneficiare di quella sentenza: «Il pronunciamento ha colto di sorpresa tutti – commenta l’avvocato Piazza -. ma questo non intaccherà il percorso che la figlia ha potuto fare, attraverso le dolorose udienze del processo, per liberarsi di quel peso».
Dicevano che inventavo tutto, se fosse vero la mia vita non sarebbe devastata