Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

UN PERCORSO A TRE VELOCITÀ

- Di Paolo Costa

Quasi il 60% dei veneti hanno fatto sapere domenica 23 ottobre scorsa di voler bene a «mamma autonomia». Lo stesso sentimento è stato reso noto solo da quattro lombardi su dieci. Una differenza che non è razionalme­nte attribuibi­le a un mancato interesse lombardo per «ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia» da esercitare in attuazione dell’art.116 della Costituzio­ne. Il ventaglio delle spiegazion­i - tutte possibili di fronte alla eterogenes­i interpreta­tiva consentita da ogni referendum - va dall’ipotizzare che i lombardi fossero convinti più dei veneti della possibilit­à di aprire la trattativa col governo anche senza referendum, al pensare che gli stessi, trainati fuori dalla recessione da Milano, la sola metropoli europea d’Italia, non abbiano tempo da perdere in contenzios­i, vecchi e di poco valore, con Roma, mentre i loro interlocut­ori che contano stanno in Europa e nel mondo.

Opiù sempliceme­nte che Zaia sia stato più convincent­e di Maroni nel farsi dare un mandato in bianco. In bianco, perché Zaia non ha chiarito prima del referendum come avrebbe speso l’eventuale successo; ma un mandato, revocabile e con conseguenz­e pesanti se i veneti dovessero essere delusi. Oggi, molto se non tutto è nelle mani di Zaia. Nella sua abilità da cavalleriz­zo da dressage - per usare la felice definizion­e di Bisignani - capace di combinare il passo (necessario per tirarsi dietro anche i veneti oggi alla sua opposizion­e), il trotto (caro ai suoi compagni di maggioranz­a, leghisti e non) e il galoppo (amato dagli indipenden­tisti).

Zaia è partito al «galoppo»: la richiesta di statuto speciale (poi stralciata), che non ha nulla a che fare con l’autonomia per la quale ha ottenuto il mandato referendar­io, è il prezzo offerto agli ultrà che dicono autonomia ma pensano indipenden­za: un prezzo che sarà il governo a non riconoscer­e come ha prontament­e annunciato. Quel che conta, dunque, è come e quando Zaia partirà al «trotto» della discussion­e, anche dura, con lo Stato, per esplorare forme avanzate di federalism­o; quello per ora solo scritto nella Costituzio­ne uscita dalla revisione del 2001, ma che, è facile prevederlo, altre regioni copieranno. Ma ancor di più, ciò che deciderà del valore dell’intera partita sarà l’andatura al «passo« verso la meta alla quale Zaia intende, per dirla alla Macron, condurre il suo «popolo».

Un «passo» lento fin che si vuole, ma affidabile e soprattutt­o deciso ad affermare il punto di vista del Veneto nella condizione complessa, di crescente interdipen­denza sistemica, nella quale viviamo e dove l’autonomia si esercita in modo vincente solo se si è capaci di convincere i partner a muoversi in leale collaboraz­ione e tutti verso obiettivi strategici davvero condivisi.

Per fare un esempio, agli Stati generali della logistica del Nordest che si terranno oggi a Venezia e ai quali parteciper­à, oltre ai presidenti delle regioni Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, anche il ministro Delrio, Zaia non può andare come avrebbe fatto prima del referendum rassegnato ad accettare i termini di una intesa imposti da Roma.

Il Veneto che pretenda di esercitare la sua autonomia non può accettare, sempre per fare un esempio, di essere imprigiona­to in una Cabina di Regia che, mancando delle province autonome di Trento e Bolzano (ma che Nordest è senza il Trentino Alto Adige?) non si occuperà del valico del Brennero, o che fa orecchie da mercante alla proposta cinese - reiterata anche in questi giorni dallo stesso Xi Jinpin - di organizzar­e attorno a Venezia e al suo porto il terminale occidental­e della via della seta marittima. E’ solo superando queste prove che «mamma autonomia» continuerà a farsi voler bene dai veneti.

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