Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
UN PERCORSO A TRE VELOCITÀ
Quasi il 60% dei veneti hanno fatto sapere domenica 23 ottobre scorsa di voler bene a «mamma autonomia». Lo stesso sentimento è stato reso noto solo da quattro lombardi su dieci. Una differenza che non è razionalmente attribuibile a un mancato interesse lombardo per «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» da esercitare in attuazione dell’art.116 della Costituzione. Il ventaglio delle spiegazioni - tutte possibili di fronte alla eterogenesi interpretativa consentita da ogni referendum - va dall’ipotizzare che i lombardi fossero convinti più dei veneti della possibilità di aprire la trattativa col governo anche senza referendum, al pensare che gli stessi, trainati fuori dalla recessione da Milano, la sola metropoli europea d’Italia, non abbiano tempo da perdere in contenziosi, vecchi e di poco valore, con Roma, mentre i loro interlocutori che contano stanno in Europa e nel mondo.
Opiù semplicemente che Zaia sia stato più convincente di Maroni nel farsi dare un mandato in bianco. In bianco, perché Zaia non ha chiarito prima del referendum come avrebbe speso l’eventuale successo; ma un mandato, revocabile e con conseguenze pesanti se i veneti dovessero essere delusi. Oggi, molto se non tutto è nelle mani di Zaia. Nella sua abilità da cavallerizzo da dressage - per usare la felice definizione di Bisignani - capace di combinare il passo (necessario per tirarsi dietro anche i veneti oggi alla sua opposizione), il trotto (caro ai suoi compagni di maggioranza, leghisti e non) e il galoppo (amato dagli indipendentisti).
Zaia è partito al «galoppo»: la richiesta di statuto speciale (poi stralciata), che non ha nulla a che fare con l’autonomia per la quale ha ottenuto il mandato referendario, è il prezzo offerto agli ultrà che dicono autonomia ma pensano indipendenza: un prezzo che sarà il governo a non riconoscere come ha prontamente annunciato. Quel che conta, dunque, è come e quando Zaia partirà al «trotto» della discussione, anche dura, con lo Stato, per esplorare forme avanzate di federalismo; quello per ora solo scritto nella Costituzione uscita dalla revisione del 2001, ma che, è facile prevederlo, altre regioni copieranno. Ma ancor di più, ciò che deciderà del valore dell’intera partita sarà l’andatura al «passo« verso la meta alla quale Zaia intende, per dirla alla Macron, condurre il suo «popolo».
Un «passo» lento fin che si vuole, ma affidabile e soprattutto deciso ad affermare il punto di vista del Veneto nella condizione complessa, di crescente interdipendenza sistemica, nella quale viviamo e dove l’autonomia si esercita in modo vincente solo se si è capaci di convincere i partner a muoversi in leale collaborazione e tutti verso obiettivi strategici davvero condivisi.
Per fare un esempio, agli Stati generali della logistica del Nordest che si terranno oggi a Venezia e ai quali parteciperà, oltre ai presidenti delle regioni Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia, anche il ministro Delrio, Zaia non può andare come avrebbe fatto prima del referendum rassegnato ad accettare i termini di una intesa imposti da Roma.
Il Veneto che pretenda di esercitare la sua autonomia non può accettare, sempre per fare un esempio, di essere imprigionato in una Cabina di Regia che, mancando delle province autonome di Trento e Bolzano (ma che Nordest è senza il Trentino Alto Adige?) non si occuperà del valico del Brennero, o che fa orecchie da mercante alla proposta cinese - reiterata anche in questi giorni dallo stesso Xi Jinpin - di organizzare attorno a Venezia e al suo porto il terminale occidentale della via della seta marittima. E’ solo superando queste prove che «mamma autonomia» continuerà a farsi voler bene dai veneti.