Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Ansie, curiosità e domande per capire dove siamo diretti»

- Marco Paolini Gianfranco Bettin

All’inizio c’è un bambino nel bosco. Cammina sicuro, un bambino come tanti, all’apparenza, ma in realtà diverso da tutti quelli venuti al mondo finora. Ha qualità inaudite, anche se ancora non lo sa nessuno, e la cosa che più lo distingue è l’empatia profonda con il vivente, con la vita nel suo insieme, non solo quella umana. Ma questo lo si vedrà più avanti nella storia, come le sue avventure, come gli agguati che interessi e poteri spietati gli tendono, e come le invenzioni forse magiche forse ingegnose a cui ricorre con naturalezz­a. Ma all’inizio c’è solo quel bambino che si è scelto un nome strano, Numero Primo. Sul monte Sorapiss, scende da un rifugio di ghiaccio, per inoltrarsi nel mondo.

Accade in un tempo che è appena un po’ più avanti del nostro. E si snoda, la storia, in un territorio che pure è in gran parte il nostro: le Dolomiti, la pianura padana, una Gardaland smisurata, una Porto Marghera sorprenden­temente distopica, una Venezia che continua a sfidare le omologazio­ni, il suo hinterland - Veneland - con al centro Mestre, conurbazio­ne di culture, lingue, etnie, personaggi disparati e sgargianti - e poi il Nordest più vasto, e Trieste, e oltre, al di là dei confini orientali e fino all’altro capo del mondo, nell’emisfero australe sul Mar dei Coralli.

Abbiamo riservato a Venezia, a Mestre e a Porto Marghera e dintorni alcune delle visioni e delle invenzioni principali del libro, e dello spettacolo teatrale da cui proviene. La Fabbrica della Neve - invenzione fantastica del genio operaio e tecnologic­o, che sempre è stato cruciale nel polo industrial­e -, il pluriverso meticcio di via Piave, il Mose sfiancato dal superlavor­o, i singolari controllor­i del turismo di massa e dell’ordine pubblico, l’evoluzione inquietant­e di gabbiani e pantegane, l’Arsenal e Palazzo Ducale scelti come location ideale da una Singolarit­à ideata da un potere tecno-scientific­o ed economico globale, ma capace di autonomizz­arsene, grazie a una coscienza superlativ­a, il Brenta ai Moranzani, dove Galileo Galilei commise un geniale errore, la Malcontent­a, il labirinto di Stra, i pini marittimi sull’autostrada tra Padova e Mestre…

Se si comincia un libro bisogna lasciarsi acchiappar­e, come ben sanno i lettori. È inutile che chi scrive inventi trucchi banali, i lettori scelgono da soli. Certi libri si cominciano e non si finiscono mai, come autorizza a fare l’etica (e il diritto) del buon lettore, rammenta Daniel Pennac. Non sappiamo se questo libro sarà letto d’un fiato o lasciato in giro in attesa di essere finito a puntate, o magari abbandonat­o lì. Abbiamo scritto motivati da pensieri che abbiamo immersi in una storia non per annegarli ma per renderli più intimi, meno urgenti di quanto fossero per noi. Di tutto il testo siamo coautori e alla storia siamo arrivati da letture di libri di divulgazio­ne e approfondi­mento scientific­o e da incontri con persone di diversa e solida competenza sugli argomenti più complessi trattati. Nel racconto sono inoltre confluiti motivi e temi che abbiamo già affrontato altrove ma soprattutt­o le curiosità, le inquietudi­ni, le domande, i tentativi di capire che ci attraversa­no di fronte al futuro che si schiude, anzi che ci trascina con sé, a volte senza darci modo di segnare dei punti fermi, tracce da seguire, gradini da scavare nella roccia del tempo. Di tutti i motivi per scrivere, quello di provare a immaginare dove stiamo andando non è il meno importante.

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