Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Il pm indaga sul suicidio di Bertocco
L’uomo gravemente disabile, l’11 ottobre si è spento in una clinica in Svizzera
La procura ha aperto un fascicolo per «aiuto al suicidio» di Loris Bertocco, il 59enne di Fiesso d’Artico che l’11 ottobre ha scelto di morire in una clinica Svizzera. «Un atto dovuto», lo definisce il procuratore capo Bruno Cherchi. L’ipotesi di reato è basata sull’articolo 580 del codice penale, «istigazione o aiuto al suicidio», nella parte che riguarda l’aiuto che l’uomo avrebbe ricevuto per morire. Ad oggi nessuno è stato iscritto nel registro degli indagati.
La procura di Venezia ha aperto un fascicolo per aiuto al suicidio dopo la morte di Loris Bertocco, il 59enne di Fiesso d’Artico che ha scelto di morire l’11 ottobre scorso in una clinica Svizzera grazie al suicidio assistito. «Un atto dovuto», lo definisce il procuratore capo Bruno Cherchi. L’ipotesi di reato è basata sull’articolo 580 del codice penale, «istigazione o aiuto al suicidio», nella parte che riguarda l’aiuto che, nel caso specifico, l’uomo avrebbe ricevuto per morire. Ad oggi nessuno è stato iscritto nel registro degli indagati ma la magistratura intende fare chiarezza. Vuole comprendere se ci sia qualche responsabilità da parte di qualcuno collegata alla morte di Bertocco.
Il 59enne era rimasto paralizzato a causa di un incidente stradale quando aveva appena 19 anni, nel 1977. Prima i movimenti ridotti , poi una caduta dalle stampelle, anni dopo, interruppe il recupero che stava faticosamente provando a costo di fatiche inenarrabili. E poi ancora due vertebre lesionate nel tentativo di sistemarle, la malattia agli occhi che lo ha reso cieco. Un’esistenza fatta di battaglie quotidiane per affrontare le difficoltà legate alla sua invalidità e quelle burocratiche, per pagare le spese mediche e sopravvivere. Bertocco aveva cominciato a pensare al suicidio assistito solo dopo molto tempo. Dopo quarant’anni dallo spartiacque della sua vita, una decisione maturata negli anni, come lui stesso ha raccontato nel suo memoriale. Ai suoi amici l’aveva rappresentata più come una possibilità ma la convinzione, al contrario, era sempre più forte. P oche sere prima di partire per la Svizzera aveva organizzato alcune cene con amici, quasi nessuno sapeva che quello era un saluto. Disse solo che partiva, che il viaggio sarebbe stato faticoso ma che doveva farlo. «Fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità», scriveva nel suo memoriale. E la scelta di rendere pubblica la sua storia ha riaperto il dibattito sul «fine vita», tanto che la procura lagunare ci ha pensato a lungo prima di decidere di aprire un’inchiesta. Lo ha fatto a pochi mesi dalla decisione del gip di Milano Luigi Gargiulo di respingere la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura locale nei confronti dell’esponente dei Radicali Marco Cappato, accusato di aiuto al suicidio per la morte di Dj Fabo, il 40enne milanese che aveva scelto il suicidio assistito in Svizzera. «L’ampia informazione che c’è stata per volere stesso di Loris ha portato la procura di Venezia a conoscere la sua storia — dice Gianfranco Bettin, presidente della Municipalità di Marghera e amico stretto di Bertocco —. Questo sviluppo conferma ciò che diceva Loris: serve una legge sul fine vita perché le persone come lui si mettono in una condizione di rischio e di illegalità, come chi dà loro una mano».
Il 59enne si è fatto accompagnare in Svizzera da alcune persone. Adesso la procura intende comprendere se qualcuno possa essere colpevole del reato di aiuto al suicidio. «Quello della magistratura è un atto dovuto, una decisione corretta. È la legge che è spietata in Italia — aggiunge Bettin —. Ci saranno altre persone che incorreranno in questa spietatezza legislativa che si connette a un’insufficienza dei servizi per tenere in vita le persone».
Bertocco Fino all’ultimo la vita va rispettata e la dignità va garantita