Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Banco Bpm, offensiva in Veneto «Cresciamo a Vicenza e Treviso»
Castagna: «Vogliamo diventare il riferimento per le medie imprese»
VERONA Banco Bpm punta sull’espansione in Veneto. La fusione che ha creato il terzo polo bancario già chiusa, come le operazioni straordinarie, a partire dall’alleanza con Cattolica. Così, dopo i conto della trimestrale, per Banco Bpm parte una fase operativa nuova. Un’offensiva sul campo, che per l’amministratore delegato, Giuseppe Castagna, ha come obiettivo l’espansione in Veneto, ancora ferito dalla vicenda ex popolari.
Banco Bpm mostra un nuovo attivismo, dopo dieci mesi passati sulla fusione. Cosa resta ancora da fare?
«In un’aggregazione così importante c’è sempre molto da fare. Ma siamo sorpresi da quanto già fatto in 10 mesi: siamo in vantaggio sulla tabella di marcia. La cosa più importante che ci differenzia dalle altre banche è la creazione dell’unità per gestire le sofferenze».
Che risultati sta dando?
«Molto positivi. Abbiamo proiezioni a fine anno di recuperi cash per 700 milioni. Se sono circa il 30% del valore facciale, vuol dire aver cancellato 2 miliardi in un anno».
E i pericoli di una nuova stretta di Bce? Tornano i rischi di aumenti di capitale?
«No. La fusione si basa su un piano di riduzione del rischio con la vendita di 8 miliardi di sofferenze in 3 anni che chiuderemo con 18 mesi d’anticipo. Abbiamo già fatto vendite per quasi 3 miliardi, altri 1,8 li chiuderemo entro fine anno e gli ultimi 3,2 entro giugno. Aumenti di capitale non ne abbiamo assolutamente in programma».
Il Veneto è quasi monopolio Intesa, dopo l’operazione sulle ex popolari. Come pensate di conquistare spazio?
«Nonostante le operazioni straordinarie, la rete è rimasta molto concentrata. Su Vicenza e Treviso, territori feriti, registriamo i maggiori tassi di crescita. Oggi lo scenario è effettivamente un po’ monopolistico. Abbiamo bisogno di tutte le banche: ben venga un forte impegno di Intesa. Ma oggi, tra concentrazioni e crisi, siamo l’unica banca con forti radici locali. Cercheremo di portare questa vicinanza, ovvia a Verona, anche a Vicenza, Padova e Treviso».
Riorganizzate la rete.
«Saremo operativi dal 1. gennaio. Da un’organizzazione che prima aveva pochi centri decisionali forti, portiamo le decisioni più vicine al territorio. A Verona ci sarà la base organizzativa per il Triveneto».
E il Veneto che ruolo ha?
«È uno dei capisaldi del nostro sviluppo, con Lombardia, Emilia e Piemonte. Vedo la necessità di espanderci moltissimo, e rapidamente, in Veneto. Questa banca è molto veronese, ma ancora poco veneta e triveneta. A me interessa che da qui ci sia tutta la copertura che serve in Triveneto a clienti e imprenditori».
E come svilupperete la vostra presenza operativa?
«La riorganizzazione qualifica il mondo corporate intorno a Banca Akros. Le aziende sopra i 50 milioni hanno bisogno di centri specialistici. Sono il nostro core business: stiamo lavorando per diventare il riferimento di quel mondo. E abbiamo ristrutturato il centro estero per dare un vero supporto alle mid cap. Poi vogliamo lavorare molto sulle fusioni, nel mettere insieme le aziende italiane».
Ex venete: perché non vi siete proposti, come Intesa?
«Purtroppo eravamo ancora impegnati, e visti dalla vigilanza, come una banca lungo un percorso di integrazione non ancora concluso. Pur se penso che aver dato a noi la parte buona avrebbe risolto in un colpo anche il nostro problema delle sofferenze: il loro peso sarebbe subito calato».
Avete chiuso l’accordo con Cattolica. Che valore ha?
«Economico, ma anche industriale. Eravamo partiti dall’esigenza di un rinnovo degli accordi. Ma alla fine abbiamo scelto sì chi ha fatto l’offerta più ‘rotonda’ per valore, e però ci è piaciuta anche la ‘scommessa’ che ha fatto Cattolica. Pensiamo che impegneranno nella joint venture tutte le risorse e le capacità d’innovazione per farla funzionare, in un momento di grande svolta nella bancassicurazione».
E la creazione di un vostro nocciolo duro di soci?
«Sarebbe importante avere azionisti a sostegno del piano industriale. Le opportunità mi paiono chiare e l’attuazione che ne stiamo facendo credibile. Stiamo facendo un lavoro sul territorio di informazione e fidelizzazione, ci sono imprenditori importanti con partecipazioni forti e con le Fondazioni, a partire da Cariverona, si è tornati a un dialogo molto aperto. Ma la remunerazione del capitale è un punto fermo. E potremo fare una chiamata alle armi più forte solo quando sarà più definito il quadro delle regole».
Che proiezioni su fine anno? C’è spazio per dividendi?
«Intanto il valore del titolo è cresciuto del 30% da gennaio. E noi continuiamo a pensare che il nostro piano industriale sia credibile e si possa arrivare davvero a un miliardo di utili nel 2019. Ma pensare già ora di tradurre gli utili in dividendi, invece di usarli per aumentare le coperture, non mi pare un’idea brillante. Vogliamo mostrare che siamo capaci di ridurre ancora i rischi».
Lo scenario Monopolio Intesa? Siamo i soli con radici locali: le sfrutteremo
Ex popolari Eravamo impegnati nella fusione: non potevamo proporci
Cattolica Ci è piaciuta la scommessa che ha fatto: l’accordo funzionerà
Da ultimo, su Verona, la polemica sull’aeroporto tra i presidenti di Cariverona e Save, Mazzucco e Marchi.
«Per una città come Verona, terza meta turistica d’Italia e territorio d’imprese vocate all’export, lo scalo è strategico. Sono certo che tutti gli azionisti sapranno concorrere a una gestione che non mancherà di cogliere tutte le opportunità di valorizzazione, anche internazionale».