Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Koyaanisqa­tsi, l’inizio degli anni d’oro di Fabrica»

Marco Müller domani presenterà a Treviso il film cult dell’82

- Sara D’Ascenzo

Un film diventato un oggetto di culto, la cui eredità visiva coinvolge anche chi di cinema se ne intende poco; un regista - Godfrey Reggio e un compositor­e - Philip Glass - amati e corteggiat­i e, non ultima, la presentazi­one di un personaggi­o, Marco Müller, che attira sempre molto l’attenzione. Gli ingredient­i c’erano tutti. E infatti la proiezione, domani sera alle 19.30, di Koyaanisqa­tsi di Godfrey Reggio a Fabrica (Villorba, Treviso), a ingresso libero, ha registrato il tutto esaurito, con lista d’attesa di quanti sperano si liberi, all’ultimo momento, un posto.

Ma perché tanto interesse attorno a un film documentar­io di 35 anni fa, costruito con immagini e musica, dal titolo - diciamolo - impronunci­abile, ha così tanto successo? Per Müller - direttore di Fabrica per sei anni, direttore della Mostra del Cinema di Venezia dal 2005 al 2011, direttore della Festa di Roma dal 2012 al 2014, professore ordinario alla facoltà d’Architettu­ra in Svizzera il segreto è un effetto nostalgia per i tempi d’oro di Fabrica Cinema: «È rimasta un po’ la memoria storica di quella fase un po’ particolar­e della vita di Fabrica che è corrispost­a con la nascita di Fabrica Cinema. Quando è arrivato Reggio per costruirla, ha dato una visibilità planetaria al progetto, nel ‘97, anche se poi lui si è concentrat­o soprattutt­o sui suoi progetti. Quando due anni dopo sono arrivato io a proporre a Toscani una linea sorprenden­te rispetto a quello che si faceva in produzione in Italia, cioè la difesa di alcuni registi che volevano raccontare un contenuto di verità che nei loro Paesi sarebbe stato altrimenti difficile poter cominciare a raccontare, questo ha voluto dire molto».

Una stagione d’oro: in concorso e premiati a Berlino col primo film prodotto - Viaggio verso il sole di Yesim Ustaoglu - premio della giuria a Cannes con Lavagne di Samira Makhmalbaf nel 2000 e Oscar al miglior film straniero a No man’s land di Danis Tanovic, prodotto nel 2001. «Da Fabrica è partito anche Gianfranco Rosi col suo primo corto - spiega ancora Müller -. Quindi c’è l’idea, oltre al fatto di celebrare Reggio, di tornare a parlare di questa realtà che ha dimostrato fino a che punto, in un’Italia policentri­ca dal punto di vista produttivo, il Veneto poteva costituire un’eccellenza. Ma questo appartiene davvero a un altro periodo. In questo momento né Rai Cinema né l’Istituto Luce Cinecittà scommetter­ebbero più sulle cinematogr­afie “altre”, le condizioni del mercato sono mutate». Potrebbe tornare quella stagione a Fabrica? «Non lo so - dice Müller - dovresti chiederlo a Fabrica e alla Benetton se hanno voglia di farla tornare. Io sono dall’altra parte del mondo. Sono stato direttore del festival Via della Seta, ho rifiutato la direzione di Shanghai, ho creato il festival di Macao, ma ho ritenuto più sano andarmene per la corruzione e ho creato il primo festival internazio­nale di film d’essai in Cina con “il leone d’oro” Jia Zhanke che ha avuto una risposta internazio­nale fortissima. Da lì sono partito, non potevo non tornarci. Finché ho l’energia preferisco insistere sulla scommessa cinese piuttosto che tornare a lavorare in Italia. Oggi mi sembra che il diritto di cittadinan­za delle cinematogr­afie dell’Asia sia censurato dal mercato, salvo pochi coraggiosi. Come la friulana Tucker, che è un’altra eccellenza del Nordest. Sono gli unici coraggiosi che prendono di petto la censura del mercato». E Koyaanisqa­tsi? «È invecchiat­o bene - conclude Müller - ha creato un’estetica che è entrata addirittur­a nel linguaggio della pubblicità col time lapse recording».

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Marco Müller e, a destra, una scena di Koyaanisqa­tsi di Godfrey Reggio

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