Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
VENEZIA E LO STATO DI META-DIRITTO
Che c’azzecca il Comitatone con le grandi navi da crociera e la loro via di avvicinamento al porto di Venezia? C’azzecca, c’azzecca. Ma solo perché il nostro è uno «stato di meta-diritto» nel quale ogni norma «ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento» a seconda di chi ritiene di avere il potere di applicarla o di non applicarla. In uno stato di diritto il problema della individuazione e realizzazione della via alternativa al passaggio davanti a San Marco delle grandi navi da crociera sarebbe stato affrontato e risolto, come decreto comanda, dall’Autorità Marittima, dall’ Autorità portuale e dall’ex Magistrato alle acque nell’esercizio delle loro responsabilità. Nello «stato metagiuridico» nel quale invece viviamo, tutti – ministeri, regione, comuni, comitati, mondo intero- si ritengono titolati a decidere, pur senza assumersi alcuna responsabilità, e ad esprimere veti in nome dei loro interessi o pregiudizi legittimi ma particolari - dall’intangibilità ideologica della laguna, alla valorizzazione di aree, alla difesa del posto di lavoro, alla propria idea di bellezza del paesaggio, eccetera. Una situazione nella quale l’applicazione discrezionale delle norme e i ripensamenti, convinti o forzati, hanno creato un lungo vuoto decisionale - sono cinque anni che ci si è dati un obiettivo che non si riesce a raggiungere!- che non poteva non imbrogliare la matassa ogni giorno di più. Ma, e qui entra in campo il Comitatone, come non ricordarsi che Venezia è fisiologicamente al centro di processi decisionali complicati, di esercizi di politica con la P maiuscola che impongono di comporre interessi legittimi contrastanti? Perché non ricorrere dunque di nuovo al rito, rivelatosi molte volte taumaturgico, di convocare in un solo luogo e in un solo momento tutti i poteri statali, regionali e locali interessati alle grandi navi da crociera a prescindere dal fatto che ne avessero una qualche competenza-responsabilità? Lo si è fatto il 7 novembre scorso. Ma il miracolo non è avvenuto. Perché il Comitatone non è usabile ad ogni scopo. Il Comitatone è lo strumento che, componendo le «autonomie» di stato, regione ed enti locali , agisce dal 1984 da sacro custode e promotore di tutte le politiche su Venezia, in nome di quella «specialità» per la quale la Repubblica riconosce di «preminente interesse nazionale» e garantisce «la salvaguardia di Venezia e della sua laguna (l’“urbs”) e «ne assicura la vitalità socioeconomica (della “civitas”)».
Un obiettivo che l’ultimo Comitatone, ancora una volta non presieduto dal presidente del consiglio, partecipato distrattamente solo da alcuni ministri, non più assistito dalla segreteria un tempo operante presso la presidenza del consiglio e il magistrato alle acque, ha avuto difficoltà a inquadrare ancor prima che perseguire. Difficoltà che nascono tutte dalla mancata presa d’atto che il pendolo delle urgenze si è oggi spostato dalla salvaguardia dell’urbs alla rivitalizzazione della civitas. Oggi il MoSE e le altre difese dal mare –nonostante la tragedia giudiziaria e la crisi amministrativa - sono quasi approntate, la laguna è sostanzialmente disinquinata, il patrimonio edilizio di Venezia è stato restaurato, il disinquinamento dei suoli di Marghera in corso. Oggi l’urgenza è economica e sociale. La vecchia Marghera è scomparsa e in Venezia storica, ma tra un po’ anche a Mestre, ogni altra attività ha lasciato il passo al turismo. Attività ricca e vitale questa, ma che ha in sé i germi di distruzione della civitas, lagunare e di terraferma, condannata «allo sfruttamento pitocco del genio dei padri e della curiosità dei forestieri». Un Comitatone conscio dei propri compiti sarebbe dovuto partire da qui. Avrebbe dovuto farlo chiedendosi se quanto sta accadendo oggi a Venezia risponde all’obiettivo di «assicurarne la vitalità socioeconomica nel quadro dello sviluppo generale e dello assetto territoriale del Veneto». Se sì, incoraggiandolo, se no, contrastandolo. Riconoscendo che, volendolo incoraggiare, basta lasciare che le dinamiche in atto continuino. Al contrario, volendolo contrastare occorre affrontare lo sforzo immane di rimettere in moto meccanismi di sviluppo alternativo. E qui la partita principale si gioca di nuovo a Porto Marghera, ripetendo in chiave moderna il miracolo di 100 anni fa. Facendo nascere dalle ceneri del vecchio polo industriale un nuovo blocco portuale, manifatturiero e logistico, preparato alla transizione digitale. Subordinando a questo ogni altro progetto, compreso quello dello sviluppo crocieristico, e creandone subito tutte le condizioni. Che riguardano la necessità urgente di rendere il porto di Venezia accessibile alle navi e ai traffici di domani, anche per massimizzare la convenienza alla nuova localizzazione portocentrica di manifattura e logistica. Poi, solo poi, negli ampi spazi che comunque resteranno disponibili si potranno collocare, anche funzioni meno strategiche, come quella dei traffici crocieristici. La posta in gioco è il mantenimento dell’«integrità culturale» del bene culturale Venezia e, paradossalmente, lo sviluppo dell’intero Veneto. Purtroppo il Comitatone del 7 novembre scorso, spaesato, ha parlato d’altro.