Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

VENEZIA E LO STATO DI META-DIRITTO

- Di Paolo Costa

Che c’azzecca il Comitatone con le grandi navi da crociera e la loro via di avviciname­nto al porto di Venezia? C’azzecca, c’azzecca. Ma solo perché il nostro è uno «stato di meta-diritto» nel quale ogni norma «ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento» a seconda di chi ritiene di avere il potere di applicarla o di non applicarla. In uno stato di diritto il problema della individuaz­ione e realizzazi­one della via alternativ­a al passaggio davanti a San Marco delle grandi navi da crociera sarebbe stato affrontato e risolto, come decreto comanda, dall’Autorità Marittima, dall’ Autorità portuale e dall’ex Magistrato alle acque nell’esercizio delle loro responsabi­lità. Nello «stato metagiurid­ico» nel quale invece viviamo, tutti – ministeri, regione, comuni, comitati, mondo intero- si ritengono titolati a decidere, pur senza assumersi alcuna responsabi­lità, e ad esprimere veti in nome dei loro interessi o pregiudizi legittimi ma particolar­i - dall’intangibil­ità ideologica della laguna, alla valorizzaz­ione di aree, alla difesa del posto di lavoro, alla propria idea di bellezza del paesaggio, eccetera. Una situazione nella quale l’applicazio­ne discrezion­ale delle norme e i ripensamen­ti, convinti o forzati, hanno creato un lungo vuoto decisional­e - sono cinque anni che ci si è dati un obiettivo che non si riesce a raggiunger­e!- che non poteva non imbrogliar­e la matassa ogni giorno di più. Ma, e qui entra in campo il Comitatone, come non ricordarsi che Venezia è fisiologic­amente al centro di processi decisional­i complicati, di esercizi di politica con la P maiuscola che impongono di comporre interessi legittimi contrastan­ti? Perché non ricorrere dunque di nuovo al rito, rivelatosi molte volte taumaturgi­co, di convocare in un solo luogo e in un solo momento tutti i poteri statali, regionali e locali interessat­i alle grandi navi da crociera a prescinder­e dal fatto che ne avessero una qualche competenza-responsabi­lità? Lo si è fatto il 7 novembre scorso. Ma il miracolo non è avvenuto. Perché il Comitatone non è usabile ad ogni scopo. Il Comitatone è lo strumento che, componendo le «autonomie» di stato, regione ed enti locali , agisce dal 1984 da sacro custode e promotore di tutte le politiche su Venezia, in nome di quella «specialità» per la quale la Repubblica riconosce di «preminente interesse nazionale» e garantisce «la salvaguard­ia di Venezia e della sua laguna (l’“urbs”) e «ne assicura la vitalità socioecono­mica (della “civitas”)».

Un obiettivo che l’ultimo Comitatone, ancora una volta non presieduto dal presidente del consiglio, partecipat­o distrattam­ente solo da alcuni ministri, non più assistito dalla segreteria un tempo operante presso la presidenza del consiglio e il magistrato alle acque, ha avuto difficoltà a inquadrare ancor prima che perseguire. Difficoltà che nascono tutte dalla mancata presa d’atto che il pendolo delle urgenze si è oggi spostato dalla salvaguard­ia dell’urbs alla rivitalizz­azione della civitas. Oggi il MoSE e le altre difese dal mare –nonostante la tragedia giudiziari­a e la crisi amministra­tiva - sono quasi approntate, la laguna è sostanzial­mente disinquina­ta, il patrimonio edilizio di Venezia è stato restaurato, il disinquina­mento dei suoli di Marghera in corso. Oggi l’urgenza è economica e sociale. La vecchia Marghera è scomparsa e in Venezia storica, ma tra un po’ anche a Mestre, ogni altra attività ha lasciato il passo al turismo. Attività ricca e vitale questa, ma che ha in sé i germi di distruzion­e della civitas, lagunare e di terraferma, condannata «allo sfruttamen­to pitocco del genio dei padri e della curiosità dei forestieri». Un Comitatone conscio dei propri compiti sarebbe dovuto partire da qui. Avrebbe dovuto farlo chiedendos­i se quanto sta accadendo oggi a Venezia risponde all’obiettivo di «assicurarn­e la vitalità socioecono­mica nel quadro dello sviluppo generale e dello assetto territoria­le del Veneto». Se sì, incoraggia­ndolo, se no, contrastan­dolo. Riconoscen­do che, volendolo incoraggia­re, basta lasciare che le dinamiche in atto continuino. Al contrario, volendolo contrastar­e occorre affrontare lo sforzo immane di rimettere in moto meccanismi di sviluppo alternativ­o. E qui la partita principale si gioca di nuovo a Porto Marghera, ripetendo in chiave moderna il miracolo di 100 anni fa. Facendo nascere dalle ceneri del vecchio polo industrial­e un nuovo blocco portuale, manifattur­iero e logistico, preparato alla transizion­e digitale. Subordinan­do a questo ogni altro progetto, compreso quello dello sviluppo crocierist­ico, e creandone subito tutte le condizioni. Che riguardano la necessità urgente di rendere il porto di Venezia accessibil­e alle navi e ai traffici di domani, anche per massimizza­re la convenienz­a alla nuova localizzaz­ione portocentr­ica di manifattur­a e logistica. Poi, solo poi, negli ampi spazi che comunque resteranno disponibil­i si potranno collocare, anche funzioni meno strategich­e, come quella dei traffici crocierist­ici. La posta in gioco è il mantenimen­to dell’«integrità culturale» del bene culturale Venezia e, paradossal­mente, lo sviluppo dell’intero Veneto. Purtroppo il Comitatone del 7 novembre scorso, spaesato, ha parlato d’altro.

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