Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Impiegata delle Poste messa a non lavorare: dovrà essere risarcita
Demansionata per quattro anni, spostata senza motivo da un incarico di responsabilità a un ruolo marginale, fino a passare ore e giorni senza fare nulla. Il caso di una ex dipendente delle Poste di Mestre è giunto fino in Corte di Cassazione, la quale stabilisce non solo che il tribunale di Venezia (e poi la corte d’Appello in seconda battuta) aveva fatto bene a risarcire la donna dei danni da dequalificazione professionale, ma che alla lavoratrice va riconosciuto anche risarcimento biologico, ovvero il danno morale per il profondo stato di depressione patito. La decisione è stata resa nota il 16 novembre scorso: la Corte Suprema ha rinviato il processo di nuovo alla corte d’ Appello per una più corretta valutazione dell’ammontare del danno biologico. La vicenda inizia nel 2002 una lavoratrice napoletana, oggi 65nne, a capo della sezione Assegni dei dipartimento del Cuoas di Mestre, viene trasferita da un ufficio a un altro. Prima era a capo di una squadra di 13 impiegati, nel nuovo ufficio si ritrova a passare carte. Le condizioni di lavoro per lei sono così squalificanti da costringerla a prendere farmaci per affrontare una brutta depressione, certificata dai medici. Nel 2006 decide di fare causa alle Poste. In primo grado le vengono riconosciuti i danni da demansionamento, Poste Italiane deve risarcirla con una mensilità per ogni mese di inattività. Lei chiede anche i danni biologici, che in primo e secondo grado le vengono negati. Poste Italiane porta il caso in Cassazione perché non vuole pagarle il risarcimento, l’impiegata fa altrettanto con la controparte per chiedere il danno biologico negato. È lei a spuntarla. Il caso quindi ritorna a Venezia., in Corte d’Appello.