Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
GENERAZIONI IN DEFICIT DI FELICITÀ
Mentre Bergoglio lancia un appello al Festival della dottrina sociale di Verona il gruppo si accampa a Spinea dopo liti e malori: 8 rientrano alla base per paura
La crisi non è finita davvero, dice il sondaggio Lan. È vero. La crisi è qualcosa di più di qualche punto di Pil. La crisi è la sensazione mai provata da settant’anni, che il futuro sarà peggio del passato. Le crisi sono le famiglie con due stipendi che fanno fatica a mantenere due bambini, o rinunciano a fare il secondo. Le crisi sono i genitori di quella coppia, benestanti, che si intristiscono a pensare di essere indispensabili, a pensare alla pensione dei figli, che non basterà per far niente. Ai miei nonni era andata molto peggio, con i tedeschi davanti a casa; ogni generazione ha affrontato il suo futuro, lo faremo anche noi. È forse solo la generazione di mezzo, i baby boomers, a cui è andato (quasi) tutto bene, grazie al debito pubblico imbarazzante che ci lasciano.
Noi ce la faremo, comunque. Ma come? Ce la stiamo già facendo. Colpisce la scarsa percezione dei segnali importanti. Che ci sono. Le nostre imprese eroiche crescono, si sviluppano, i mutui sono bassi, c’è qualche concorso pubblico dopo anni. Eppure non basta. C’è una crisi che non si vede, che esclude; il Pil cresce solo per qualcuno, la classe media sparisce, gli stipendi evaporano. Si lavora il doppio per guadagnare lo stesso, di meno.
Le aziende hanno commesse appena per qualche mese, programmare è un atto di fede. C’è un disagio diffuso, rabbioso, fondato. Ma c’è, soprattutto, una tristezza, una cupezza inedita. C’è uno specifico europeo, il continente che invecchia.
Quarto giorno di protesta, di trattative, di muro contro muro tra migranti e prefettura ma anche di malesseri tra i 56 in fuga da Cona. Con un tentato suicidio, subito bloccato dall’intervento della polizia.
Mercoledì, la marcia dei richiedenti asilo si era fermata a Malcontenta (frazione di Marghera), al centro civico Canevon. Da un lato, i profughi che si rifiutavano di tornare a Cona, dall’altro il prefetto Carlo Boffi che si impegnava a garantire più controlli e lo svuotamento graduale dell’hub. Ma ai 56, al sindacato Usb e all’associazione Catai (Padova) che ne supportano la mobilitazione sembrava troppo poco.
Ieri, nemmeno la mediazione del sindaco di Cona Alberto Panfilio e del presidente della Municipalità di Marghera Gianfranco Bettin ha permesso di uscire dallo stallo. Solo in serata, grazie all’aiuto di don Dino Pistolato, vicario episcopale del patriarcato, i richiedenti asilo hanno lasciato il centro civico diretti, per una notte, a Spinea, ospiti della cooperativa Cssa in via del Commercio. Una volta arrivati lì, in otto hanno chiesto di tornare a Cona: troppa la paura di perdere la protezione umanitaria.
A Malcontenta, i 56 non potevano più restare, il Comune di Venezia aveva concesso l’uso del Canevon per una notte e i residenti, ieri, hanno iniziato a presidiare il centro civico e ha chiederne la restituzione ai cittadini.
E mentre nel Veneziano la protesta dei migranti fuggiti da Cona non accennava a placarsi, sul lato opposto del Veneto, al «Festival della dottrina sociale della chiesa», ieri risuonavano le parole di papa Francesco in un videomessaggio il cui appello è inequivocabile: «Fedeltà all’uomo significa aprire occhi e cuore ai poveri, agli ammalati, a chi non ha lavoro - ha detto -, significa aprirsi ai profughi in fuga da violenza e guerra».
In piena sintonia con il Papa, ieri, la diocesi veneziana, come aveva già fatto aprendo patronati e oratori per i 212 della prima «marcia della dignità», ha fornito un tetto a 46 profughi. Otto sono infatti rientrati all’hub e due sono stati ricoverati negli ospedali di Dolo e dell’Angelo a Mestre.
Dopo una lunga giornata di tensioni, due persone si sono sentite male ed è scoppiato il caos all’arrivo dell’ambulanza: i richiedenti asilo temevano che una volta in nosocomio i loro amici sarebbero stati riportati al centro d’accoglienza. L’arrivo dei medici, in supporto al Suem, ha placato le acque e i due (uno per panico, l’altro invece ha avuto un attacco epilettico perché non ha più preso le medicine necessarie) sono stati portati via. Nel mentre, un terzo profugo si è creato un cappio da una sciarpa e ha tentato il gesto estremo, «pare un atto dimostrativo», hanno spiegato i soccorritori.
La giornata non era andata come i profughi avevano sperato: poco dopo mezzogiorno c’era stato un incontro tra i loro portavoce, Panfilio, Bettin e Boffi che non era andato a buon fine. I 56 chiedevano la firma di un memorandum d’intesa, tradotto in inglese e francese, in cui fosse messo nero su bianco il compromesso raggiunto. Peccato che le loro richieste, per la prefettura, fossero irricevibili: 40 profughi selezionati dai 56 avrebbero dovuto essere inseriti nel gruppo dei cento che, come promesso da Roma, in un paio di giorni dovrebbero lasciare Cona. Chiedevano inoltre un osservatorio indipendente di controllo del centro e Boffi avrebbe dovuto sottoscrivere che entro tre mesi Cona verrà chiusa. Secca la risposta: «Se gli 800 di Cona accettano che 40 di voi siano i primi a partire, va bene», ha detto Boffi.
All’uscita del summit, i volti cupi di Bettin e Panfilio non lasciavano speranze. «La mia mediazione è fallita - ha detto il sindaco -, torno ad occuparmi del mio Comune». Più severo Bettin: «C’è stata troppa rigidità tra le parti, la politica, a partire dal Comune di Venezia, deve fare di più». Solo alle 16.30 è arrivato a Malcontenta l’assessore veneziano alla Sicurezza Giorgio D’Este: «La situazione qui è buona - ha detto - Cona invece è ingestibile, meglio l’accoglienza diffusa».
Il sindaco La mia mediazione è fallita, ora devo tornare a occuparmi del mio Comune