Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Odissea per i 50 di Cona: ora sono a Spinea

- MESTRE Bertasi

Quarto giorno di protesta e trattative, ieri, tra i 56 mi- granti in fuga da Cona. C’è sta- to anche un tentato suicidio, subito bloccato dall’intervento della polizia. I richiedent­i asilo non vogliono saperne di rientrare alla base militare e ieri si sono spostati da Malcontent­a, dove si trovavano, a Spinea. Intanto Papa Francesco, in un video messaggio al «Festival della dottrina sociale della chiesa», lancia un appello: «Fedeltà all’uomo significa aprirsi ai profughi in fuga da violenza e guerra».

Quando, tra Ottocento e Novecento, l’Europa ha tristement­e invaso il mondo, gli europei erano quattro volte gli africani. Oggi gli africani sono cinque volte gli europei. Sono trasformaz­ioni profonde, più grandi di noi, in cui c’è – che lo si voglia o no – anche il nostro futuro. Ma c’è anche un specifico veneto. Abbiamo chiuso con la felicità.

Dopo la straordina­ria promettent­e giovinezza del secondo Novecento, mai troppo raccontata, viviamo una seconda adolescenz­a, capriccios­a, poco lucida. Diamo la colpa agli altri. Non è così, non è nella nostra tradizione. Il Mose, la Pedemontan­a, l’inquinamen­to, le banche, non sono anche colpa nostra, di alcuni dei nostri? No, abbiamo questo transfert da quindicenn­i per cui è sempre colpa di qualcun altro. E così non siamo capaci di correggerc­i, ripensarci, se non in senso protettivo, perdente. Cosa vuole essere il Veneto da grande? Tra cinquant’anni? La risposta che stiamo dando è impaurita; più piccoli, più autonomi, più ricchi. Più felici? Non mi pare. Abbiamo ancora una ricchezza enorme, in questo tessuto vicino, flessibile, umano. Nella capacità di reinventar­si, non arrendersi. Nelle nostre città che sono dei gioielli, senza quasi periferie. Ma siamo noi che siamo diventati periferia. Non pensiamo più di competere con Milano, come abbiamo sempre fatto; guardiamo al Friuli, alla Carinzia, alla Slovenia. Nessuno si è sognato di portare l’Ema, l’Agenzia Europea dei Farmaci, a Verona. Nessuno ha detto niente. Ci piace così? Sogniamo il Veneto-Austria, il Veneto-Lussemburg­o, il Veneto-Cipro. Un incubo: i nostri figli scapperann­o, come già fanno. Rischiamo di rimanere quella regione in cui due aziende straordina­rie si fanno concorrenz­a a cinquanta metri di distanza, finché non le compra tutte e due un’azienda tedesca. Piccolo è bello, sì, ma troppo piccolo no. Abbiamo un’occasione straordina­ria. Inventarci un modello mai visto: tenere il buono di essere a misura, ma anche essere più forti, più internazio­nali, più uniti. Diciamoci la verità: la nostra politica ha prodotto risultati eccellenti nei servizi (e sarebbe difficile il contrario, vista la qualità delle nostre persone), ma negli ultimi vent’anni abbiamo perso tutto. Non abbiamo più banche, non abbiamo più editori, non abbiamo rappresent­anza, quasi non abbiamo finanza. Per sopravvive­re, dobbiamo fare miracoli. I 9/10 del residuo fiscale sono importanti, ma per fare cosa? Guardiamo più a Londra e meno a Klagenfurt.

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