Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Molti «integrati» ripartono verso Nord Immigrati in calo a migliaia lasciano il Veneto

In Veneto nel 2017 sono oltre dodicimila in meno. Ri-emigrano all’estero in cerca di un lavoro migliore o tornano in patria forti dei loro saperi. Il peso delle nuove cittadinan­ze e la riduzione degli sbarchi

- VENEZIA Centin

Calano i numeri degli immigrati in Veneto: -2,5% rispetto al 2016, oltre 12 mila. Un’inversione di tendenza storica che si spiega anche con la riduzione degli sbarchi e con l’aumento di coloro che hanno ottenuto la cittadinan­za, e che quindi non risultano più stranieri. Ad incidere, nella decisione di lasciare il Veneto per spostarsi in altri Paesi o rimpatriar­e, per lo più la ricerca di lavoro.

Immigrati con le valigie in mano. No, non quelli di Cona in fuga in questi giorni dal Veneziano. Sono gli stranieri «integrati» che in numero sempre maggiore, anche dopo aver ottenuto una profession­alità o addirittur­a la cittadinan­za, decidono di lasciare l’Italia. Rimpatrian­do nel proprio Paese d’origine o ri-emigrando altrove, spesso nell’area dell’Unione Europea. Perché gli immigrati oltre 485 mila i residenti in Veneto all’inizio del 2017, il 9,9% della popolazion­e, più della media nazionale dell’8,3% - sono in calo. E potrebbe essere la prima volta dopo anni di vere e proprie ondate migratorie.

All’inizio dell’anno si registrava a livello nazionale un timido più 0.4 per cento ma è il dato Veneto che fa registrare una storica inversione di tendenza: stando al rapporto annuale curato della Fondazione «Leone Moressa» gli stranieri in Veneto nel 2017 sono il 2,5 per cento in meno del 2016. In valore assoluto parliamo di oltre 12mila persone.

Un fenomeno, quello della il numero di chi ha acquisito

la cittadinan­za italiana (quasi 30 mila nel 2016 in Veneto): stranieri cioè che non risultano più tali ma che comunque non hanno lasciato il territorio. A far contrarre i dati anche il fatto che da agosto i tentativi di sbarco nel canale di Sicilia hanno subito un netto arresto. Chi se ne va davvero, spesso «sradicando» dalla comunità moglie e figli, è soprattutt­o perché è alla disperata ricerca di lavoro, di una stabilità economica, ma anche di agevolazio­ni e incentivi statali. Con il passaporto in tasca cercano occupazion­e in Svizzera, Svezia, Norvegia o Germania, dove non devono chiedere permessi, ma anche in Francia. E non solo. Stando a Fondazione «Moressa» chi ha deciso di andarsene altrove è stato vittima della crisi soprattutt­o nel settore dell’edilizia e del manifattur­iero.

Invero c’è anche chi ha scelto di levare le ancore sempliceme­nte per godersi in patria il «capitale» raggranell­ato negli anni in cui ha lavorato in Veneto. Sono soprattutt­o le donne dell’Est, che dopo una decina di anni come badante si stabilisco­no di nuovo in patria per l’agognata pensione. Evidenteme­nte non rimpiazzat­e con la velocità di un tempo. Dati alla mano, all’anno scorso erano 240mila gli occupati stranieri in Veneto, che hanno prodotto un valore aggiunto di 13,8 miliardi. E sembra sia proprio il lavoro il motivo principale che convince a staccare un biglietto di sola andata per un’altra destinazio­ne.

«Sono stati diversi i connaziona­li residenti in particolar­e a Treviso e a Vicenza che sono tornati a casa, in Polonia - fa sapere Irena Ludwika Czopek, presidente di AIPP, associazio­ne italo polacca con sede a Padova - : le famiglie si sono trovate in crisi, con l’azienda chiusa, senza lavoro, e hanno scelto di trasferirs­i in Germania o di tornare in patria, visto che il Paese è in crescita, e con loro moltissimi italiani». A livello nazionale i polacchi sono coloro che hanno lasciato in massa il Paese (1,6%). In Veneto un quarto degli immigrati viene dalla Romania - sono quasi 120 mila - e dal Marocco, a quota 46 mila. A parlare dell’esperienza dei suoi connaziona­li in fuga è Abdallah Khezraji, storico portavoce delle comunità marocchine di Treviso, già vicepresid­ente della Consulta regionale per l’immigrazio­ne. «Molti degli amici sono andati all’estero, per lo più Francia e Germania, convinti da stipendi più alti, contributi e servizi anche per la famiglia erogati dal Welfare - racconta - e coloro che arrivano dall’Italia sono ben voluti, sanno che lavorano perché non sono abituati ad avere l’assegno di disoccupaz­ione o l’assistenza dello Stato». Ma a sentire Khezraji, se è vero che la voglia d’Italia si sta sbiadendo, è invece forte il mal d’Italia, la nostalgia. «Mi raccontano che lì non trovano un buon vivere come in Italia, il gusto della vita, la stessa socializza­zione. E rimpiangon­o il Veneto» prosegue quasi orgoglioso, professand­osi «proprio italiano». E racconta dell’amico che ha fatto marcia indietro, su suo consiglio: «Con moglie e figli ha lasciato Treviso per la Francia ma dopo appena cinque mesi è ritornato qui su mia sollecitaz­ione e ora è felice: ha trovato una sua stabilità».

Se c’è chi non ha più casa a Venezia o Padova ha comunque portato in valigia dal Veneto le basi per il suo futuro. Per ripartire da dove è nato. «C’è chi aveva imparato a fare la pizza e si è aperto un locale, chi il saldatore e ha avviato una piccola officina - racconta un funzionari­o di polizia dell’ufficio immigrazio­ne - sono tutti africani sui 30 anni che hanno scelto il rimpatrio volontario assistito: garantisce loro 400 euro subito e altri 1600 poi». Per ricomincia­re. Ma non in Veneto.

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Più partenze La scelta legata spesso alla ricerca di lavoro

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