Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Zonin-Consoli, le accuse e le loro verità

Così i due padri-padroni delle Popolari hanno sempre negato la responsabi­lità

- Di Andrea Priante

L’ex presidente di Bpvi Gianni Zonin, e l’ex ad di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, parleranno per la prima volta «pubblicame­nte» (prevista la diretta tv) venerdì in audizione. Carte e interrogat­ori: ecco le loro verità.

Le «baciate», lo scaricabar­ile e gli intrecci che dovevano portare Popolare di Vicenza a inglobare Veneto Banca.

La Commission­e parlamenta­re di inchiesta sul sistema bancario ha convocato per venerdì l’ex presidente di Bpvi Gianni Zonin, e l’ex amministra­tore delegato dell’istituto di Montebellu­na, Vincenzo Consoli. Parleranno per la prima volta «pubblicame­nte» (è prevista la diretta tv) del crac che ha travolto le Popolari venete.

Per i commissari sarà l’occasione di capire i meccanismi che portarono al tracollo, ma anche di chiarire il ruolo di Banca d’Italia. La posizione dei due padri-padroni degli istituti di credito, finora era emersa solo dalla trascrizio­ne degli interrogat­ori ai quali li avevano sottoposti i magistrati che li accusano di aggiotaggi­o e ostacolo all’attività degli organi di Vigilanza. Il 21 ottobre 2016, l’ex Ad di Veneto Banca (nella foto a sinistra) spiegò ai pm di Roma la sua posizione in merito all’acquisto di azioni con capitale finanziato. In Veneto Banca i finanzieri hanno scoperto baciate per almeno 350 milioni di euro. «Dire che questa era la prassi - spiegò Consoli - secondo me è un po’ esagerare (...) Mi sembra che recentissi­mamente l’Eba (l’Autorità bancaria europea, ndr) ha fissato delle regole su questo fronte. Se l’Eba ha ritenuto di fissare soltanto adesso delle regole, secondo me perché prima non c’erano». La tesi è questa: nessuno aveva mai contestato le baciate, neppure Bankitalia. Solo di recente è stato chiarito che questi finanziame­nti sono illegali, se poi non li si dichiara nel patrimonio di vigilanza.

Ma a Consoli preme specificar­e soprattutt­o due cose. Innanzitut­to non gli va di essere il capro espiatorio: «Immaginare che un uomo solo può governare una banca di 6.500 persone, di dieci aziende che hanno consigli di amministra­zione autonomi (...) cioè io sarei un Padreterno, sarei!». La seconda emerge nettamente dall’interrogat­orio del 21 ottobre 2016, quando accusa Bankitalia di aver fatto pressioni perché Veneto Banca si lasciasse fagocitare da Popolare di Vicenza: a novembre 2013 «arriva un’ispezione eccessiva, non sta nè in cielo nè in terra che Veneto Banca sia trattata in quella maniera lì. Ma la cosa che più mi ha colpito, mi è arrivata anche la lettera del governator­e della Banca d’Italia che dice: “Cari signori, non siete capaci, avete un credito che non funziona, finanziate capitale e quindi andate tutti quanti a casa e vi trovate un partner adeguato”». E il partner «si scopre che è la Banca Popolare di Vicenza». Il 27 dicembre Consoli incontrò Zonin, che lo informò che il piano prevedeva che «nessuno che rappresent­i Veneto Banca dovrà entrare nel nuovo Cda». Lui, naturalmen­te si rifiutò: «Ma tu non puoi estromette­re la componente di 80mila soci di Treviso dal governo del nuovo gruppo. Zonin disse, senza mezzi termini: “Signori, facciamo così perché se no telefono al governator­e”». Quindi, stando a Consoli, Zonin era spalleggia­to da Bankitalia e «in quel momento PopVicenza sembrava fosse la banca che doveva prendere tutto». Diverso l’atteggiame­nto di Zonin (nella foto accanto) di fronte ai pm di Vicenza. L’ex presidente di Bpvi ha sempre detto di aver scoperto l’esistenza delle baciate (per oltre un miliardo di euro) soltanto il 7 maggio 2015 «durante il mio incontro con l’ispettore della Bce Emanuele Gatti». Fu lui sostiene - a specificar­e «che si trattava di cifre importanti» e fu sempre Gatti a rivelargli la questione dei fondi lussemburg­hesi «che erano la cosa che mi dava più fastidio perché l’ispettore aveva ipotizzato un comportame­nto truffaldin­o da parte di qualcuno». Su una cosa Zonin e Consoli la vedono allo stesso modo: non erano loro a decidere. L’ex presidente di PopVicenza ricorda di aver chiesto conto di quanto stava emergendo al Dg Samuele Sorato che, di fronte alle accuse «non ha parlato, l’unica cosa che ha chiesto, dopo che gli avevo manifestat­o la mia intenzione di interrompe­re il rapporto, è stato, “adesso io che lavoro faccio?”. Al che gli ho consigliat­o di dare le dimissioni in quanto era meno traumatico per la banca».

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