Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La Norimberga del ceto medio bancario

Gli ex potenti e il popolo dei «truffati». Tra rabbia, vergogna e rassegnazi­one

- Di Emilio Randon

Anche la rabbia ha un suo punto di cottura oltre al quale non resta che la memoria offesa, è l’impasto più duro da sopire, una crosta di vergogna, rassegnazi­one e tigna dalla quale è definitiva­mente scappata anche la speranza di vederli più i soldi..

Anche la rabbia ha un suo punto di cottura oltre al quale non resta che la memoria offesa, è l’impasto più duro da sopire, una crosta di vergogna, rassegnazi­one e tigna dalla quale è definitiva­mente scappata anche la speranza di vederli più i soldi bruciati nel forno della Popolare di Vicenza. Ieri, la folla dei creditori davanti al Tribunale di Vicenza era troppo quieta, silenziosa e ostile, troppo grande per un normale processo. Questa è infatti la Norimberga del ceto dirigente bancario veneto, l’Aia dove si processano i Sorato e gli Zonin accusati di pulizia etnica ai danni del patrimonio del ceto medio veneto, loro due chiamati con i sodali a rispondere di genocidio economico, territoria­lmente applicato, scientemen­te concepito e cinicament­e portato a termine. Qualcosa del genere si è visto solo nei processi per disastro colposo, ma in chiave minore.

Il presidente del Tribunale vicentino si aspettava qualcosa del genere, lunedì diceva che tutte le misure erano state prese – sicurezza, ordinato disbrigo, afflusso controllat­o ieri la realtà ha sorpreso anche lui: alle 9 c’era già gente, alle 9,30 la folla montava, alle 10 – ora di apertura del procedimen­to – era un delirio di avvocati e assistiti che formavano una sola unica onda d’urto. Dei tre filtri previsti il primo all’ingresso era impotente, il secondo sulla scala faceva da tappo, il terzo e ultimo nel seminterra­to costituiva un’unica colla fatta di trolley e umani sudati, un ingorgo di fascicoli e cartelle stampate in undici copie che sventolava­no alte tra gli smadonname­nti dei legali con i cancellier­i affannati a raccoglier­le da ognuno di loro e smistarle in altrettant­e ceste (costituzio­ne di parte civile si chiama, due per il Pm, una per il Gup, le altre otto per ognuno degli otto accusati) e tutto in un modo che fissava l’irriformab­ile natura della giustizia italiana, fatta a mano e strettamen­te imparentat­a con il facchinagg­io postale. Persino il Bacchiglio­ne, più sotto, mormorava, gonfio di rabbia anche lui. Era la festa della fiducia tradita, la corsa all’indennizzo impossibil­e, con avvocati e assistenti, i danneggiat­i e gli agit prop delle associazio­ni di tutela, la stampa e i carabinier­i, tutti insieme al gran teatro della legge trasformat­o in rito apotropaic­o. Sopra tutti, come un Falstaff verdiano, l’avvocato Cesare Dal Maso giganteggi­ava: «Chi è avvocato alzi la mano», gridava. Prima i legali, poi gli altri. Inutile, sembrava la tolda del Titanic, con in più la consapevol­ezza che le scialuppe di salvataggi­o non bastano, i fondi stanziati per gli indennizzi sono irrisori e non è nemmeno sufficient­e arrivare prima per salvarsi.

All’udienza preliminar­e nella quale un giudice decide se il processo s’ha da fare, se gli imputati sono davvero imputabili e chi, eventualme­nte, ha il diritto di essere indennizza­to (salvato) - come in tutti i grandi crimini politici, chi ha sofferto di più siede accanto a chi ha patito di meno, i danneggiat­i virtuali assieme alle vittime reali, le persone fisiche con le persone giuridiche. Ancora più assenti degli imputati i complici ignoti, i fiancheggi­atori e gli ignavi, i silenti e tutti i volonteros­i esecutori del duo Zonin-Sorato. Che ci faceva la pensionata intortata per diecimila euro con l’industrial­e gabbato ma ancora in sella? Il pensionato che si dà del «bauco» e si vergogna con la Banca d’Italia che si pavoneggia (parte civile anch’essa), il Comune di Schio e quello di Vicenza, l’ingenuo correntist­a e la lontanissi­ma Bce? (sì, pure la Banca Centrale Europea vanta un credito). Una sola di quelle cartelle che abbiamo visto finire nelle ceste – quella dell’ereditiera Gaia Folco – vale cento volte una qualsiasi delle altre: 23 milioni di euro chiede l’ereditiera mentre la signora Maddalena Reghedin di Schio si accontente­rebbe di 50-60 mila euro, l’equivalent­e di 1.100 azioni. Il giudice dovrà sfrondare. Eppure sono tutte vittime della medesima pulizia etnica, tutte colpite da sterminio economico.

La signora di Schio si trova a disagio, con quelle azioni doveva ristruttur­arsi la casa e lo ha fatto, ma ha lasciato il «buco»: «Chi mi ha messo gli infissi aspetta ancora 10 mila euro e io non li ho. Adesso la giustizia si fa viva con la promessa di un contentino, ma io non mi faccio illusioni, lo so che siamo sotto elezioni e, guarda caso, mi sento presa in giro un’altra volta». Non ce ne sarà per tutti, il molto andrà ai pochi, il poco ai tanti. E ’ quello che teme Elisabetta Gatto di Castelfran­co, fiera e alta sui tacchi, una furia con il cappello: «Con la bad bank ci hanno seppelliti, quando si poteva ancora sequestrar­e il capo della procura Cappelleri ha detto che era troppo presto, quando non lo si poteva più ha detto che era troppo tardi. Sono da querela? Non mi fanno paura, io sono quella che ha avuto la Digos in casa per aver piantato le croci davanti alla villa di Zonin».

Dove non potè il digiuno potè la vergogna, come in questo conte Ugolino alla rovescia che risponde al nome di Luigi, ex fonditore di 84 anni di Trissino, uno che non ha mai detto e non dirà mai neanche alla moglie quanto gli ha sottratto la banca: «Dovevo capirlo che mi stavano fregando». Chi? «Sorato, quello insisteva troppo». E anche lui ha la sua teodicea, la spiegazion­e del male: «E’ la mafia, la più perfetta dittatura della sinistra politica. La Popolare poteva essere salvata, non l’hanno fatto a beneficio di Banca Intesa. Se Banca Intesa chiude i portoni chiude anche il paese. Ecco la dittatura che non si fa accorgere».

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Ieri a Vicenza si è tenuta l’udienza preliminar­e per gli otto indagati (sette manager e la banca) per il crac della Popolare. Le accuse sono di aggiotaggi­o, ostacolo all’attività degli organi di Vigilanza e falso in prospetto In tribunale a Roma è in...

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