Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Mose, cresta sui cassoni. «Una parte al Pd»
Il nuovo memoriale di Savioli. Condotte: noi parte offesa
«A fronte della richiesta da parte di Condotte della retrocessione di una somma ancora non determinata mi recai alla direzione del Consorzio Venezia Nuova e riferii della richiesta. L’indicazione che ricevetti fu la seguente: chiedi per Cvn 30 mila euro da destinarsi a chi dirò». Pio Savioli è il referente dell’allora Coveco (il consorzio delle coop venete, oggi Kostruttiva) nel Cvn e, come ha ammesso, a lui andavano 90 mila euro per ogni cassone, mentre i restanti 160 mila li intascava – pure lui reo confesso – l’ingegner Stefano Tomarelli, all’epoca plenipotenziario di Condotte per il Mose. E’ la famosa «cresta» sui cassoni di Chioggia, il cui costo, secondo l’accusa, sarebbe stata elevato da 7,6 a 8,1 milioni di euro cadauno in modo che da quel mezzo milione in più si potesse ricavare una provvista della metà (come «da tradizione» del Consorzio di allora) in fondi neri: 250 mila euro.
Di quei soldi Savioli ha già parlato nel luglio 2014, ma torna di fronte agli inquirenti il 26 febbraio 2016, nell’ambito dell’inchiesta «Mose 6», che – come si è scoperto dall’avviso di conclusione delle indagini – vede ora sotto accusa 10 persone (tra cui i due ex manager) con l’accusa di produzione e uso di fatture gonfiate, tutti dirigenti o ex delle imprese coinvolte: Condotte e Coveco-Kostruttiva che avevano l’appalto dal Cvn tramite la Clodia, le coop Clea e San Martino che hanno realizzato i lavori con la consortile «Mose 6». E si presenta con un memoriale inedito, ora agli atti dell’inchiesta, dove spiega come venivano distribuiti i 90 mila a cassone «erroneamente attribuiti alla mia disponibilità»: «Ventimila euro erano di spettanza di Mario Boscolo (legale rappresentante della coop San Martino, morto nel 2015 e dunque non in grado di replicare, ndr) - scrive Savioli - da lui concordati con l’ingegner Tomarelli»; «I 30 mila di spettanza diretta di Cvn - aggiunge - venivano da me versati, su mandato di Cvn, al signor Marchese (Giampietro, ex consigliere regionale, ndr) a favore del Pd»; «I restanti 40 mila vennero poi utilizzati per contribuire alle campagne elettorali del Pd del 2010 e 2013»; «Per quanto riguarda la mia persona - conclude Savioli - consapevole comunque degli illeciti commessi, ritengo di quantificare in 100 mila euro tale somma». Dichiarazioni che specificano meglio quelle rese il 14 luglio 2014 e che il giorno successivo vennero sottoposte a Marchese, il quale, pur ammettendo di aver ricevuto da Savioli 10 mila euro al mese fino al 2012 per un totale di 150 mila euro per saldare i debiti della campagna elettorale 2010, nega somme ulteriori e soprattutto dopo quella data. «Savioli cerca di attribuire ad altri soldi che forse si è trattenuto», ipotizza il legale di Marchese, l’avvocato Francesco Zarbo. Anche perché Savioli, in linea teorica, avrebbe tutto l’interesse a limitare la somma di denaro che si è tenuto, di cui rischia la confisca.
Dichiarazioni che fanno il paio con quelle di Tomarelli, il quale già il 25 giugno 2014, interrogato sui 160 mila euro, disse che «una parte li ho tenuti per me e una parte invece no». Alla domanda di chi fosse il destinatario, l’ingegnere tira in ballo l’ingegner Paolo Bruno, ex presidente di Condotte, morto nel 2013. «Diciamo che a lui sono andati 800, 900 mila euro - dice - Sugli otto cassoni doveva arrivare a un milione, quindi 120, 130 l’uno, così». Siccome le fatturazioni sui cassoni sono proseguite anche negli anni successivi, anche dopo l’arresto di Tomarelli nella «retata» del 4 giugno 2014, ora indagato è pure il presidente Duccio Astaldi, che ha firmato le dichiarazioni dei redditi, contestate dalla Finanza e dal pm Stefano Ancilotto fino al 2016. «La società ha già da tempo attivato un’azione di responsabilità nei confronti dell’ex dirigente coinvolto per ottenere il risarcimento dei danni subiti e ha da tempo depositato presso la procura di Venezia le nomine a difensore quali parti offese di tali reati -. replica però Condotte - L’avviso di garanzia è un atto dovuto e attendiamo serenamente che la giustizia faccia il suo corso, attestando la validità delle poste in bilancio oggetto della contestazione».
Va detto anche che lo stesso Savioli, nel suo memoriale, ricorda che il costo di 7,6 milioni fu molto «tirato» e Clea, che all’inizio aveva fatto un preventivo da 10 milioni, lo accettò «tra pianti e lacrime motivate». E – che potrebbe essere anche la tesi difensiva di Clea e San Martino – non ci sarebbero stati costi «gonfiati», anche se Stefano Boscolo Bacheto, figlio di Mario, rivelò che Clea aveva aumentato il ferro. Dunque quella retrocessione poteva provenire anche da altri fondi occulti delle imprese, ma così cadrebbe l’accusa fiscale.