Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Consoli scagiona Renzi e Boschi «Bankitalia? Pressione sulla fusione»

L’ex ad di Veneto Banca parla davanti alla Commission­e e rievoca le pressioni per la fusione con Popolare Vicenza

- ROMA Nicoletti

«La fusione BpviMonteb­elluna «era fortemente caldeggiat­a dal governator­e Visco con cui Zonin aveva avuto una telefonata». È quanto ha detto ieri in commission­e parlamenta­re l’ex ad di Veneto Banca, Consoli. Che «scagiona» Renzi e Boschi.

Ex popolari, Consoli processa Banca d’Italia e salva la Boschi e Renzi. Si è presentato ieri alle 14.30 a Palazzo San Macuto, a Roma, davanti alla commission­e parlamenta­re banche, Vincenzo Consoli, ex amministra­tore delegato di Veneto Banca, tre giorni dopo l’ex presidente di Bpvi, Gianni Zonin. A differenza di Zonin ha dribblato i giornalist­i all’ingresso. Ma le tre ore di botta e risposta con i parlamenta­ri, in particolar­e con i veneti Gianni Dal Moro ed Enrico Zanetti, sono state ben diverse rispetto all’incolore passaggio di Zonin, infarcito di strategici «non ricordo». Consoli ha rispolvera­to la verve delle assemblee migliori per imbastire la ricostruzi­one. La sua, in cui non c’è traccia delle perdite sui crediti, del prezzo delle azioni gonfiato degli aumenti di capitale 2014 con le Mifid aggiustate e di baciate che dice di non aver mai ordinato. Ma certo la ricostruzi­one è stata efficace.

E’ corsa su due filoni: i rapporti con Etruria, con i Boschi e l’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, alla fine assolti. Quando invece la rivelazion­e più interessan­te alla fine l’ha fatta per Berlusconi, prima dell’unica secretazio­ne della giornata: «Fu l’uomo più ricco d’Italia a restituire i 7,6 milioni del finanziame­nto a Verdini. Voleva dargli una mano, disse, usando una banca diversa dalle solite». Il piatto forte è stata la ricostruzi­one delle pressioni di Bankitalia per la fusione con Popolare di Vicenza. Consoli da accusato è diventato accusatore, con un durissimo atto d’accusa verso il capo della vigilanza, Carmelo Barbagallo. Che costringer­à probabilme­nte l’ex vicepresid­ente Franco Antiga ad essere sentito come testimone risolutivo su un passaggioc­hiave.

Il giorno del dramma

Si parte da questo. Sollecitat­o da Dal Moro, Consoli ricostruis­ce il drammatico 6 novembre 2013, quando Barbagallo si presenta a Montebellu­na con il rapporto ispettivo per il cda. «Barbagallo ci chiede prima di entrare in cda di parlare separatame­nte - racconta Consoli -. Ci accomodiam­o nell’ufficio del presidente io, lui e Trinca. Barbagallo ci dice che l’ispezione è andata male, che non possiamo andare avanti da soli, che ci dobbiamo cercare un partner di standing. E chi è?, gli chiede paonazzo Trinca. Banca Popolare di Vicenza, dice sottovoce Barbagallo». La scena si sposta nell’ufficio di Consoli: «Trinca entra furente e dice ad Antiga, presente Barbagallo: Franco, questi vogliono portarci sempre con la Popolare di Vicenza - racconta l’ex Ad -. A quel punto dico che mi dimetto. Barbagallo replica: no, deve avere responsabi­lità».

Una bomba. I commissari insistono. Salta fuori la lettera del governator­e Ignazio Visco allegata al rapporto ispettivo: «Ci dice di trovare un partner e che nessuno dei consiglier­i può far parte della banca risultante». Il 18 dicembre Bankitalia vede Vicenza, il 19 Trinca. Si arriva al pranzo di Aquileia Zonin-Consoli-Trinca del 27 dicembre. «Barbagallo dice a Trinca lei Zonin lo incontra subito», chiede conferma Sibilia. «Sì. Convochiam­o il comitato di direzione, Trinca dice che è ragionevol­e seguire le indicazion­i della vigilanza. Che dice: Zonin aspetta una telefonata. Trinca lo chiama il 23, Zonin ci fissa per il 27. Incontro che ho fatto obtorto collo». «Zonin le dice di aver parlato a lungo della fusione con il governator­e Visco», incalza il parlamenta­re. «Sì», replica Consoli. «C’è una regia chiara in cui Veneto Banca ed Etruria sono vittime di un’operazione in cui il protagonis­ta dev’essere Vicenza», sostiene Dal Moro.

La pecora nera

Consoli sostiene che le baciate alla fine sono poca cosa, 14 milioni rispetto ai 157 fissati da Bankitalia, che la revisione dei crediti in vista degli stress test europei dell’ottobre 2014 sono approfondi­ti e che la banca supera gli esercizi. «Non c’erano i numeri per dire che Veneto Banca stava crollando. Non eravamo la pecora nera delle banche italiane. Per questo non ci siamo allineati alla fusione con Vicenza, a Banca d’Italia. Che per me è come una Madonna: sacra. Ma non è che i suoi uomini non possano sbagliare». Poi altre due rivelazion­i ìncalzato da Zanetti, la prima sulle baciate: «Il capo del team ispettivo Bce, Nardone, nel 2015 prima che lasciassi la banca, mi disse: dobbiamo rimanere ancora perché a Roma non capiscono come a Vicenza trovano baciate per miliardi e qui non salta fuori nulla. Per questo strinsero anche i criteri. Il referente della Vigilanza Bce per Veneto Banca, Mastrodome­nico, ci disse: cambiate i criteri che poi arriverann­o le nuove norme. Che non sono mai state fatte, ma con quei criteri le baciate sarebbero un problema per tutto il sistema bancario italiano». Poi l’altra rivelazion­e sui fondi maltesi. Dopo Vicenza, si erano proposti anche a Veneto Banca: «Durante l’aumento di capitale 2014 veniamo contattati. Ci propongono di investire 300 milioni via Malta e Irlanda che si sarebbero tradotti in acquisto azioni per 150. Mandai a Roma l’avvocato Massimo Malvestio a capire. “Questi sono matti, è indecente”, ci dissimo. E lasciammo perdere».

La Boschi e Renzi

Si arriva ai rapporti con Etruria. Consoli racconta dell’incontro a casa Boschi, a Laterina. E salva la sottosegre­taria alla presidenza del consiglio: «Come a noi , anche a loro arrivò la lettera che imponeva al cda le dimissioni. Trinca conosceva il presidente di Etruria, Giuseppe Fornasari, con cui era stato parlamenta­re. Volevamo capire se si sarebbero dimessi. Era sotto Pasqua, Trinca mi dice: Vincenzo, andiamo ad Arezzo, può essere che incontriam­o il ministro. A casa Boschi abbiamo discusso e a un certo punto è arrivata la figlia. Ci ha detto: “Voi discutete”. Si è fermata un quarto d’ora ad ascoltarci senza profferire parola. Poi è andata». Consoli derubrica anche Renzi. Gli chiedono della telefonata del 3 febbraio 2015, in cui Consoli dice di voler cercare un contatto direttamen­te con Renzi attraverso papà Boschi. «A Renzi avrei voluto solo dire che una riforma troppo veloce poteva far crollare tutto, come poi è avvenuto. La verità è che dopo la telefonata non ho incontrato né Boschi padre o la figlia, né Renzi. A cui ho scritto di recente due lettere e che non mi ha risposto».

Le baciate

Certo, le baciate, come l’aumento di capitale 2014, restano un punto debole. Casini e il veneto Girotto incalzano Consoli. «Mai ci furono pressioni per piazzare ai clienti. Dire che in Veneto Banca frustassim­o le persone per far offrire ai clienti prodotti particolar­i non è vero. Anche perché poi i clienti delle popolari dopo la domenica a messa ne discutono». «Le associazio­ni dei consumator­i ci hanno detto cose molto diverse», lo fulmina Casini. «Non c’era una prassi sulle baciate in Veneto Banca - replica - e l’amministra­tore delegato non ha mai detto di farle». Quadretto troppo ottimistic­o? E’ il dubbio finale del vicepresid­ente Renato Brunetta: «Lei ha rappresent­ato una situazione rosa e fiori. Capisco che lei si senta un angelo e per me non è un demone. Ma mi chiedo come tutti questi gioielli possano esser diventati in pochi anni spazzatura. Se la situazione fosse come l’ha rappresent­ata lei non sarebbe dovuto succedere nulla». Consoli pare all’angolo, ma ne esce con una dei suoi colpi di teatro: «Non ho detto che in Veneto Banca era rose e fiori, ma che eravamo come le altre banche. Ma siamo stati trattati in modo diverso». «Lo hanno detto tutti quelli passati di qui», controrepl­ica Brunetta. «Sì - è l’affondo finale di Consoli - ma le altre banche sono ancora qui. Perché loro sì e le venete no? E poi vogliamo parlare dell’ottusità di Francofort­e? E di una riforma delle popolari troppo rapida e del bail-in? Con più tempo le venete sarebbero ancora lì a fare il loro lavoro». Io sento grande amarezza per i soci, ma anche per le piccole imprese venete sul credito: in un mondo diverso ne pagheranno le conseguenz­e».

I controllor­i Per me Banca d’Italia e come la Madonna, sacra. Ma non è che i suoi uomini non possano sbagliare Ecco cosa è successo

Due pesi e due misure

Non ho detto che in Veneto Banca era rose e fiori, ma che eravamo come gli altri e siamo stati trattati in modo diverso

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy