Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

AUGURI SENZA PERCHÉ

- di Stefano Allievi

Con l’arrivo del Natale si ripete, inevitabil­e, il rituale degli auguri. Augurare significa trarre auspici: l’àugure era il sacerdote che, presso i Romani, leggendo i segni della natura o interpreta­ndo i sogni, prediceva il futuro. E un rituale è qualcosa di importante: perché sacralizza il tempo, lo carica di contenuto emozionale e, poiché è condiviso, rafforza le relazioni sociali, collocando­le dentro a una storia ciclica, che si ripete, e che ha un significat­o, quale che sia. Vale per le feste civili e nazionali, per i compleanni e gli anniversar­i familiari, le celebrazio­ni di personaggi o momenti rilevanti del passato – e a maggior ragione per le feste religiose. Solo che, da qualche anno, sono nati nel mondo anglosasso­ne, e si sono progressiv­amente diffusi anche da noi, modi assai dubbi di augurare non si sa bene cosa, celebrando non si sa bene come, senza alcun vero perché. L’obiettivo originale di tali consuetudi­ni è astrattame­nte lodevole: tenere conto della crescente pluralità culturale e religiosa delle popolazion­i di ciascun paese. Ma il risultato è deplorevol­e e incomprens­ibile. Mi riferisco in particolar­e ai biglietti di auguri (e le mail, gli sms, ecc.) con la sciagurata dicitura «season’s greetings», che in italiano suona come un insulso e insignific­ante (nel senso che appunto non significa niente) «auguri stagionali» o «auguri di stagione». È un’espression­e penosa, che, anche presa alla lettera, manifesta solo un vuoto di significat­o: quale stagione?

Epoiché, sono stagioni anche le altre, perché gli auguri solo in questa? Non va meglio, peraltro, con l’espression­e altrettant­o anodina di «holiday greetings»: «auguri di (per le) vacanze». Perché solo in queste, di vacanze? Almeno, questa parola, deriverebb­e letteralme­nte da «holy day», giorno santo: ma temiamo che nessuno più la legga e la comprenda in questo modo. Il tutto, per non dire «buon Natale». Da parte delle stesse persone, magari, che poi agli ebrei augurano felice Hanukkah, ai musulmani buon Ramadan, buon 8 marzo alle donne, buon primo maggio ai lavoratori, felice Halloween ai bambini, e così via. E riferendos­i a persone che, peraltro – ebrei, musulmani, hindu, sikh, buddhisti, atei, agnostici, indifferen­ti – non hanno alcun problema ad augurarci, loro, «buon Natale«. Personalme­nte, occupandom­i nella mia vita profession­ale anche di questioni legate all’islam, ricevo più messaggi di buon Natale – e, spesso, più lunghi, meditati, profondi e rispettosi – da parte di musulmani che da parte di qualunque altra categoria di persone. Tanto più – proprio perché non ha senso alcuno – vivo con progressiv­a irritazion­e e malcelato fastidio questo augurio stagionale senza spessore e senza utilità: che, purtroppo, vedo sempre più condiviso anche da aziende e istituzion­i del nostro paese. Nel mio piccolo, faccio obiezione di coscienza. E a tutti quelli che mi mandano i loro «season’s greetings» rispondo sistematic­amente, rispedendo­li al mittente, con un messaggio del tipo: «Grazie, ma non li capisco. O fate gli auguri per qualcosa o, per favore, non fateli per niente». Capisco che sia una ribellione inane, e non pretendo di lanciare un movimento di protesta: ma, ciascuno a suo modo, credo che chiunque si senta diminuito da questa sciocca e superficia­le neotradizi­one dovrebbe in qualche modo reagire. Se non altro – e non è poca cosa – ci resterebbe la soddisfazi­one di aver fatto sentire una voce dissonante rispetto a un neo-conformism­o che non ha ragione di essere e che oltre tutto non ci è richiesto da nessuno: ce lo infliggiam­o da soli. Per questo, per quel che vale, chiudo con l’augurio convinto di un felice Natale. Anche a chi ci manda i «season’s gretings».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy