Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Le sei vite (e i segreti) della bella ucraina

- di Emilio Randon

Una vita non basta, così, Sofiya Melnyk, 43 anni, di vite ne aveva molte, chi dice quattro, chi conta fino a sei. Tanto che questa bella e misteriosa ucraina trovata cadavere la viglia di Natale in un dirupo sul Monte Grappa potrebbe essere morta tante volte quante sono le vite che ha lasciato dietro di sé nei ricordi delle persone che frequentav­a. «Non era una escort, lei si fidanzava ogni volta» dice un avvocato che segue la vicenda. E neppure gli avvocati sono d’accordo.

I carabinier­i hanno bussato a parecchie porte in questi giorni, da Treviso fino a Rimini, profession­isti, medici, case di imprendito­ri e per quanta delicatezz­a e discrezion­e possano aver usato, non hanno potuto impedire l’imbarazzo: con Sofiya Melnyk, morta di morte violenta, sono venute allo scoperto anche le vite di molti e rispettabi­li signori con tutto il corredo di segreti, pietose bugie e doppi fondi.

L’ucraina scompare il 15 novembre scorso. Undici giorni dopo, l’uomo con cui conviveva – Pascal Daniel Albanese, 50 anni – viene trovato impiccato nella villetta che divideva con la lei in via Jona a Cornuda. Lascia tre biglietti, uno per la suocera, uno al padre e alla madre, il terzo alla sua donna, «ovunquLeot­nuigo sia io ti amerò sempre». I carabinier­i pensano che lui sapesse benissimo dov’era, lì, al terzo tornante della strada che porta sul Grappa dove l’aveva buttata. Ma non sanno ancora dov’è. Lo scoprono il giorno prima di Natale e ora sono convinti, gli esami autoptici e i tabulati telefonici confermera­nno, l’uomo non ha retto al peso della colpa e si è ucciso. Pascal Daniel Albanese, 50 anni, di origini francesi, in Italia da quando era bambino. E questo spiega il Pascal, meno il resto. Lo vedevano potare la siepe, tagliare l’erba. Usciva di rado e non riceveva nessuno. Al vicino che gli chiedeva cosa facesse disse che era un ingegnere in pensione. Troppo giovane per essere in pensione, per cui il vicino lasciò perdere e non andò oltre. La villetta con i sigilli giudiziari risveglia la memoria e il vicino si sovviene del menage tra quei due:«Lui era il casalingo, lei la si vedeva uscire ed entrare, a volte scompariva per qualche giorno. Direi una coppia riservata. Qui ci conosciamo tutti e di tutti sapremmo dare un profilo, ma di loro, di questi due, solo adesso ci rendiamo conto che non sapevamo niente”.

Pascal e Sofiya stavano insieme da sedici anni. Da nove, oltre a Pascal, la donna frequentav­a un geologo settantenn­e di Rimini, un’affettuosa amicizia che lei non nascondeva; Pascal del resto, sapeva e non si lamentava. Con i soldi del profession­ista romagnolo la coppia si compra la casa e Sofiya la cointesta assieme a Pascal. I due risultano proprietar­i anche di un altro appartamen­to.

Nei giorni in cui era possibile credere che lei fosse ancora viva, la trasmissio­ne di Rai Uno La vita in diretta intervista Marika, ucraina anche lei, la quale confida che l’amica Sofiya era innamorata di un medico, un radiologo di Treviso per il quale voleva troncare le vecchie relazioni. Ma quali delle vecchie relazioni? E per quali nuove? Nel carnet di Sofiya compare anche un secondo medico, un ortopedico, e vi figura anche un imprendito­re.

In quel periodo, da metà novembre – giorno della scomparsa – al suicidio del 26 le indiscrezi­oni si rincorrono: la madre di Pascal, Eliane Armand, dichiara che il figlio è sconvolto, che qualcosa era successo e anche Sofiya sembrava temere qualcosa, persino il padre Antonio che vive a Taranto arriva a Cornuda preoccupat­o anche lui. Ci sono entrambi e c’è la sorella di Pascal la mattina del 26 novembre quando un vicino li sente urlare e chiama i carabinier­i. Il corpo di Pascal pendeva da una fune nel vestibolo fuori dalla camera da letto.

Tutti ricordano qualcosa, i vicini che un giorno c’era troppa acqua in strada fuori dal cancello della villetta (come se qualcuno avesse pulito chissà cosa), i carabinier­i del Gis che quella casa è «troppo pulita», tanto che i sospetti sono ogni giorno più pesanti e tutti sul primo uomo di Sofiya, il più antico, quello che non era geloso e che si impicca. Di colpo il rebus sembra risolto. Almeno la metà. Il giorno prima di Natale arriva la conferma: c’era un suicida, ora c’è anche un cadavere, gelosia, senso di colpa, storia chiusa, nient’altro da aggiungere. «E così non solo si dicono falsità ma si disonora la memoria di una donna. Sofiya Melnyk era una donna libera e responsabi­le — contraddic­e l’avvocato della famiglia ucraina, Francesco Zacheo — una persona limpida ed estroversa che faceva volontaria­to, teneva i vecchietti e faceva traduzioni».

E come non ci sta la famiglia di lei non ci sta la famiglia di lui.

«Non ci si suicida per senso di colpa dopo 11 giorni, non si diventa gelosi dopo 16 anni che sai tutto sulla tua donna. Qui c’è dell’altro e la parola fine è lungi dall’essere messa», parola di legale .

Non ci si suicida per senso di colpa dopo 11 giorni. Qui c’è dell’altro

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Le indagini I carabinier­i, coordinati dalla Procura di Treviso, seguono il caso della morte di Sofiya Melnyk, scomparsa il 15 novembre da Cornuda

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