Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Luciano Basso Il pioniere del piano «minimalista»
Esce «Open», il nuovo disco di Luciano Basso: veneziano trapiantato a Padova, è stato il pioniere del minimalismo. «Ricordo una session con Keith Emerson Rimpianti? I Procol Harum mi chiesero di entrare nella band ma rifiutai»
La citazione «La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori» di Johann Sebastian Bach apre il libretto del nuovo album di Luciano Basso, «Open». Veneziano di nascita, padovano d’adozione, dopo gli studi accademici pubblica due album cult del progressive rock come «Voci» (1976) e «Cogli il giorno» (1978), dedicandosi poi alla musica contemporanea con album pubblicati in tutto il mondo. «Open» è l’undicesimo della carriera.
Come mai apre il nuovo album con una citazione sul silenzio?
«C’è troppa confusione nei generi musicali. Come diceva John Cage, bisogna fermarsi e ascoltare il silenzio. Il silenzio la sa più lunga dei musicisti».
Ci può spiegare che cosa significa l’etichetta «Neoimpressionismo musicale»?
«È una forma minimalista di riprendere certi quadri che rivedo oggi senza attingere al passato e imitare Debussy o Ravel. La definizione l’ha inventata Mario Luzzato Fegiz che, durante un programma, ha detto che mi vedeva come un Benedetto Marcello in forma rock ma più impressionista».
Come mai il pianismo contemporaneo sta avendo oggi una vita da classifica
pop?
«È sicuramente diventato popolare un certo pianismo italiano perché si inizia ad apprezzare la fusione tra modernità e accademia. Michael Nyman, mio buon amico da vent’anni, è stato il primo ad innalzare a questo ruolo il pianoforte in Lezioni di piano. In Italia abbiamo diversi compositori di livello come Carlo Boccadoro, Franco Piersanti o Giovanni Sollima». Perché non cita Ludovico Einaudi o Giovanni Allevi?
«Einaudi è un compositore, non un pianista. Allevi invece è un vero pianista perché è riuscito a fondere il jazz più commerciale alla contemporanea. Ovviamente è un’eresia che si autodefinisca il Mozart di oggi». La sua discografia è ristampata con regolarità in Giappone e i suoi dischi conosciuti in tutto il mondo. Come se lo spiega?
«In Giappone hanno amato la mia musica da Notturni del 1997, poi hanno comprato quelli successivi a scatola chiusa, dimostrando una grande stima nei miei confronti. Negli Stati Uniti invece amano di più gli album del mio periodo progressive, il periodo della ricerca rock sinfonica».
Ha vissuto un periodo magico della Venezia musicale, che ricordi ha? «Con Patti Pravo ci conosciamo bene, eravamo assieme allievi del conservatorio prima che fosse allontanata. Pino Donaggio, più grande di me, mi ha chiesto diverse volte degli arrangiamenti per le sue canzoni, mi veniva a prendere con la Ferrari e si andava a Milano. Mi amava molto come musicista ma non mi ha mai accreditato». Che cosa resta invece degli anni prog? «Ricordo una mega session con Keith Emerson, a Zurigo, ai tempi dei The Nice, e le tante session con Brian Auger». Ha mai avuto rimpianti in carriera?
«Rimpianti no, ma spesso mi torna in mente quando, nel 1969, suonai per tre date con i Procol Harum, visto che Matthew Fisher se ne era andato. Alla fine mi chiesero di entrare nella band ma per amore dei miei figli e di mia moglie non accettai».