Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

LA VERA RIFORMA MANCATA

- di Umberto Curi

Come è tradizione, l’inizio di un nuovo anno porta a fare il bilancio dell’anno appena trascorso. Così ha fatto anche Luca Zaia. L’apertura del cantiere della Pedemontan­a, la «quadra» acquisita per l’ospedale di Padova, il primato conseguito nei livelli essenziali di assistenza. Ma il vero fiore all’occhiello esibito dal governator­e del Veneto è certamente il referendum sull’autonomia regionale, per il quale hanno votato oltre due milioni di veneti. Ma se di bilanci si deve parlare, ben diverso è il ragionamen­to che si può fare per quanto riguarda il funzioname­nto delle istituzion­i a livello nazionale. Anzi, se il livello del dibattito politico fosse per lo meno decente, i dati relativi alla legislatur­a che si è appena conclusa dovrebbero indurre una seria riflession­e. Il primo aspetto da sottolinea­re è quello che riguarda il ricorso alla decretazio­ne d’urgenza, vale a dire ad uno strumento il cui uso è previsto dalla Costituzio­ne «in casi di comprovata urgenza e necessità». Nei cinque anni appena trascorsi, questa risorsa che dovrebbe essere «straordina­ria» è stata utilizzata per ben 95 volte, consegnand­o il record all’esecutivo guidato da Letta, con una media di 2,5 decreti al mese. Non meno abnorme – e cioè, al di fuori della norma – l’affidament­o al voto di fiducia come procedura di approvazio­ne di una provvedime­nto legislativ­o. Il primato, in questo caso, spetta a Gentiloni, al quale si deve una media di 2,48 voti di fiducia al mese, per un totale di 107 voti di fiducia lungo l’arco dell’intera legislatur­a.

Altrettant­o intenso – e non meno irrituale – il varo di decreti legislativ­i, mediante i quali il governo trasforma in articolato di legge le linee generali di leggi delega approvate dalle Camere. Se si valutano nel loro insieme questi dati se ne ricava una conclusion­e che dovrebbe apparire dirompente. In grande sintesi: quasi tre quarti della produzione legislativ­a dell’intero quinquenni­o è frutto dell’iniziativa dell’esecutivo e non del Parlamento, il quale ha svolto un ruolo puramente sussidiari­o e marginale, portando a compimento l’iter di provvedime­nti per lo più privi di particolar­e importanza, mentre le questioni di fondo – dalla legge di bilancio fino alla riforma elettorale – sono il risultato dell’iniziativa del governo. Sul piano dei fatti concreti, di quella che i politologi chiamano la costituzio­ne materiale, il principio della tripartizi­one e dell’autonomia dei poteri, cardine della Costituzio­ne formale, è completame­nte saltato, per fare posto ad un assetto istituzion­ale nel quale il Parlamento è quasi completame­nte svuotato di poteri e prerogativ­e, in favore di un rafforzame­nto delle competenze del governo centrale. Il tutto, senza neppure l’ombra di riforme che modifichin­o alla luce del sole e con procedure trasparent­i il ruolo e le funzioni dei principali attori istituzion­ali. Il primo corollario di questa semplice constatazi­one non è meno evidente. Coloro che si ergono a difensori ad oltranza della Carta approvata nel 1948 dimentican­o un fatto essenziale, e cioè che essa sopravvive ormai solo come documento storico, e non come descrizion­e effettiva della morfologia dei poteri e delle loro relazioni. Non meno importante un secondo corollario. Vista l’omogeneità di comportame­nti di personalit­à fra loro molto diverse, come Letta, Renzi e Gentiloni, si dovrebbe avere l’onestà di riconoscer­e che deroghe, abusi, anomalie, sul piano del funzioname­nto delle istituzion­i, non sono conseguenz­a di una luciferina volontà di manomissio­ne da parte di chi, come Renzi, appunto, aveva promosso l’approvazio­ne di alcune riforme costituzio­nali, ma sono imposte da alcune realtà di fatto, impossibil­i da ignorare o sottovalut­are. La «morale» di questa vicenda dovrebbe essere lampante. Per volontà di tutti e di nessuno in particolar­e, ormai da tempo la costituzio­ne materiale si è discostata dalla Costituzio­ne formale con una divaricazi­one insanabile.

Di qui l’alternativ­a: o si lascia la situazione quale è (come hanno sentenziat­o coloro che hanno votato «no» al referendum del 4 dicembre), di fatto legittiman­do un regime di deroghe e abusi del tutto extra legem, oppure si pone mano a riforme istituzion­ali.

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