Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Cade l’abete più vecchio d’Europa, il tronco è già una reliquia
Duecentosessantaquattro anni sono troppo pochi per la vita di Avez del Prinzep, che con i suoi cinquantadue metri di statura era il più alto abete bianco spontaneo d’Europa. Con buona pace del vento che lo ha falciato il 13 novembre scorso, ai 1250 metri di Malga Laghetto, lungo il confine fra Veneto e Trentino.
Un gigante del genere, il cui tronco moncato ha ricevuto mille visite solo nella settimana dopo la caduta, merita di più. Così pensa la comunità di Lavarone, subito attivatasi per prolungare di altri secoli la vita dell’«Abete del Principe», traduzione italiana del nome cimbro, lanciando un imponente progetto, mirato a perpetuare la memoria di questo albero-totem di un’intera comunità. Decisiva sarà in tal senso la commercializzazione di parte delle quaranta tonnellate di legname rimasto, a cominciare da quello pregiato della chioma, rami marezzati e resistenti da cui si possono ricavare stanghette per occhiali di lusso, oggetti di arredo, chiavette usb, penne, pedine di scacchi e - sulla carta qualsiasi altro prodotto accessibile nel mercato del legno.
Senza escludere le bacchette magiche. «Perché no? – conferma il custode forestale Damiano Zanocco, vicentino di Thiene. – Come quelle in legno di abete bianco usate da Lord Voldemort, uno dei maghi della saga di Harry Potter». L’ipotesi è tutt’altro che peregrina: considerando che nel mercato dei gadget tratti dalla saga di Joanne Rowling costano attualmente attorno ai sessanta euro, il valore aggiunto garantito dal brand «Avez del Prinzep» potrebbe far lievitare sensibilmente il prezzo. «Ma siamo aperti a ogni proposta intelligente – continua Zanocco - come quella che ci è stata fatta da un violoncellista vicentino, Giovanni Costantini, disponibile a sondare il mondo della musica circa le possibili utilizzazioni di questo legno, il cui fusto è troppo fragile per ricavarne strumenti, ma buono per altre finalità di tipo scenografico».
«L’importante – precisa il custode forestale – è chiarire che tutto questo business sarà finalizzato all’edificazione di un reliquiario naturale, una struttura trasparente in grado di proteggere i quattro metri di tronco rimasti nel bosco, più altri quindici metri di fusto riverso, posti al centro di un percorso tematico sui grandi alberi, e sul valore inestimabile che rivestono nel nostro ecosistema. Si stima un costo attorno ai cinquantamila euro, che vogliamo raggranellare solo con le vendite. E’ dura, ma intanto arrivano quasi ogni giorno richieste di informazioni dagli interlocutori più disparati: ristoranti, enti locali, studi di design, semplici curiosi. Stiamo già pensando a un’asta di rotelle di centotrenta centimetri di diametro ricavate dal tronco, monumenti vegetali da due quintali l’uno, dove si leggono, cerchio dopo cerchio, i 264 anni della pianta. E pensiamo a due versioni: una lusso per le istituzioni, e una low cost per i villeggianti. Sono opere d’arte create dalla natura, molte impreziosite da casuali, bellissimi disegni che evocano animali e, in un caso, ET l’extraterrestre».
Parla, questo pacato cinquantenne che si definisce «tuttofare al servizio dei boschi», con la cognizione di causa derivata da uno spirito di osservazione educato a registrare qualsiasi fenomeno. Attitudine sperimentata anche nel giorno del disastro, quando, allarmato dall’impeto di quelle raffiche di Foehn, il caldo vento che scende dalle Alpi, all’alba è già fuori a fare la conta dei giganti, cogliendo quel terribile, grande vuoto rimasto al posto della chioma dell’«Avez».
«Sapevo che soffriva di carie vegetale ed era invaso dai formicai – racconta Zanocco ma non pensavo che fosse così debilitato da cedere a quella bufera. Gli davo tranquillamente altro mezzo secolo di vita, anche perché ogni anno il diametro cresceva di mezzo metro».
Sotto choc per la caduta inattesa, tocca così a Zanocco dare l’annuncio che dà vita all’incessante pellegrinaggio dei giorni successivi, quando a Malga Laghetto prendono vita processioni spontanee, evocando lo stesso cordoglio di massa solitamente tributato a monarchi, rockstar e santi.
In realtà, come Damiano Zanocco sa molto bene, l’Avez del Prinzep aveva di tutti e tre. Perché gli era stato dato un nome cimbro da erede al trono. Perché si elevava come un’inavvicinabile stella fra i suoi simili, di cui ce ne volevano trenta di «normali» per arrivare a quei trentasei metri cubi di fusto. E perché, soprattutto, ricordava un santo in quella taumaturgica facoltà di attrarre le moltitudini attorno al proprio tronco, meta ininterrotta di scuole in gita, comitive della domenica, escursioni naturalistiche, passeggiate mano nella mano, foto ricordo, solitarie contemplazioni: decine di migliaia di visitatori sparsi per otto generazioni, compresi personaggi storici come il padre della psicanalisi Sigmund Freud, abituale villeggiante di Lavarone, e lo scrittore Mario Rigoni Stern, che ne fa uno dei venti vegetali protagonisti del suo «Arboreto Salvatico».
E, quando Zanocco si congeda rivelando che «si spera di attivare, attorno alla memoria dell’Avez, un nuovo ecosistema di grandi alberi, ognuno gemellato con un neonato del posto» torna in mente proprio il Rigoni Stern a cui dobbiamo questa frase: «Pregare è stare in silenzio nel bosco».