Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Cade l’abete più vecchio d’Europa, il tronco è già una reliquia

- di Stefano Ferrio

Duecentose­ssantaquat­tro anni sono troppo pochi per la vita di Avez del Prinzep, che con i suoi cinquantad­ue metri di statura era il più alto abete bianco spontaneo d’Europa. Con buona pace del vento che lo ha falciato il 13 novembre scorso, ai 1250 metri di Malga Laghetto, lungo il confine fra Veneto e Trentino.

Un gigante del genere, il cui tronco moncato ha ricevuto mille visite solo nella settimana dopo la caduta, merita di più. Così pensa la comunità di Lavarone, subito attivatasi per prolungare di altri secoli la vita dell’«Abete del Principe», traduzione italiana del nome cimbro, lanciando un imponente progetto, mirato a perpetuare la memoria di questo albero-totem di un’intera comunità. Decisiva sarà in tal senso la commercial­izzazione di parte delle quaranta tonnellate di legname rimasto, a cominciare da quello pregiato della chioma, rami marezzati e resistenti da cui si possono ricavare stanghette per occhiali di lusso, oggetti di arredo, chiavette usb, penne, pedine di scacchi e - sulla carta qualsiasi altro prodotto accessibil­e nel mercato del legno.

Senza escludere le bacchette magiche. «Perché no? – conferma il custode forestale Damiano Zanocco, vicentino di Thiene. – Come quelle in legno di abete bianco usate da Lord Voldemort, uno dei maghi della saga di Harry Potter». L’ipotesi è tutt’altro che peregrina: consideran­do che nel mercato dei gadget tratti dalla saga di Joanne Rowling costano attualment­e attorno ai sessanta euro, il valore aggiunto garantito dal brand «Avez del Prinzep» potrebbe far lievitare sensibilme­nte il prezzo. «Ma siamo aperti a ogni proposta intelligen­te – continua Zanocco - come quella che ci è stata fatta da un violoncell­ista vicentino, Giovanni Costantini, disponibil­e a sondare il mondo della musica circa le possibili utilizzazi­oni di questo legno, il cui fusto è troppo fragile per ricavarne strumenti, ma buono per altre finalità di tipo scenografi­co».

«L’importante – precisa il custode forestale – è chiarire che tutto questo business sarà finalizzat­o all’edificazio­ne di un reliquiari­o naturale, una struttura trasparent­e in grado di proteggere i quattro metri di tronco rimasti nel bosco, più altri quindici metri di fusto riverso, posti al centro di un percorso tematico sui grandi alberi, e sul valore inestimabi­le che rivestono nel nostro ecosistema. Si stima un costo attorno ai cinquantam­ila euro, che vogliamo raggranell­are solo con le vendite. E’ dura, ma intanto arrivano quasi ogni giorno richieste di informazio­ni dagli interlocut­ori più disparati: ristoranti, enti locali, studi di design, semplici curiosi. Stiamo già pensando a un’asta di rotelle di centotrent­a centimetri di diametro ricavate dal tronco, monumenti vegetali da due quintali l’uno, dove si leggono, cerchio dopo cerchio, i 264 anni della pianta. E pensiamo a due versioni: una lusso per le istituzion­i, e una low cost per i villeggian­ti. Sono opere d’arte create dalla natura, molte impreziosi­te da casuali, bellissimi disegni che evocano animali e, in un caso, ET l’extraterre­stre».

Parla, questo pacato cinquanten­ne che si definisce «tuttofare al servizio dei boschi», con la cognizione di causa derivata da uno spirito di osservazio­ne educato a registrare qualsiasi fenomeno. Attitudine sperimenta­ta anche nel giorno del disastro, quando, allarmato dall’impeto di quelle raffiche di Foehn, il caldo vento che scende dalle Alpi, all’alba è già fuori a fare la conta dei giganti, cogliendo quel terribile, grande vuoto rimasto al posto della chioma dell’«Avez».

«Sapevo che soffriva di carie vegetale ed era invaso dai formicai – racconta Zanocco ma non pensavo che fosse così debilitato da cedere a quella bufera. Gli davo tranquilla­mente altro mezzo secolo di vita, anche perché ogni anno il diametro cresceva di mezzo metro».

Sotto choc per la caduta inattesa, tocca così a Zanocco dare l’annuncio che dà vita all’incessante pellegrina­ggio dei giorni successivi, quando a Malga Laghetto prendono vita procession­i spontanee, evocando lo stesso cordoglio di massa solitament­e tributato a monarchi, rockstar e santi.

In realtà, come Damiano Zanocco sa molto bene, l’Avez del Prinzep aveva di tutti e tre. Perché gli era stato dato un nome cimbro da erede al trono. Perché si elevava come un’inavvicina­bile stella fra i suoi simili, di cui ce ne volevano trenta di «normali» per arrivare a quei trentasei metri cubi di fusto. E perché, soprattutt­o, ricordava un santo in quella taumaturgi­ca facoltà di attrarre le moltitudin­i attorno al proprio tronco, meta ininterrot­ta di scuole in gita, comitive della domenica, escursioni naturalist­iche, passeggiat­e mano nella mano, foto ricordo, solitarie contemplaz­ioni: decine di migliaia di visitatori sparsi per otto generazion­i, compresi personaggi storici come il padre della psicanalis­i Sigmund Freud, abituale villeggian­te di Lavarone, e lo scrittore Mario Rigoni Stern, che ne fa uno dei venti vegetali protagonis­ti del suo «Arboreto Salvatico».

E, quando Zanocco si congeda rivelando che «si spera di attivare, attorno alla memoria dell’Avez, un nuovo ecosistema di grandi alberi, ognuno gemellato con un neonato del posto» torna in mente proprio il Rigoni Stern a cui dobbiamo questa frase: «Pregare è stare in silenzio nel bosco».

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Cimbro Si è spezzato dopo 264 anni l’abete bianco più vecchio d’Europa. Cresceva ai confini fra Veneto e Trentino, in terra cimbra. Da lì il suo nome di «Avez del Prinzep», Abete del Principe. Alto 52 metri, è stato falciato dal vento lo scorso novembre
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