Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Evasione, nove miliardi sfuggono alle tasse
Zabeo (Cgia): «La nostra regione resta comunque sotto la media nazionale»
Puntuale, torna la ricognizione VENEZIA dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre sull’evasione fiscale. E il Veneto si piazza, per così dire, bene o male a seconda della colonna di numeri presa in considerazione. A guardare i miliardi effettivi di tasse non pagate o, addirittura, di ipotetiche tasse non pagate sul lavoro nero, l’ex locomotiva del Nord-Est sale sul secondo gradino del podio, seconda solo alla Lombardia fra le regioni del Nord con 9 miliardi e 300 milioni di euro evasi. «I valori assoluti sono naturalmente alti in una regione con un pil considerevole - spiega Paolo Zabeo della Cgia - più corretto, invece, ragionare sull’incidenza dell’evasione rispetto al Pil regionale. Così vediamo che il Veneto arriva a 14,3 contro una media nazionale di 16,3, vale a dire 14,3 euro evasi per ogni 100 euro di imponibile».
Insomma, neppure troppo male. Su 16,8 miliardi di «imponibile», il Veneto evade più di 9 miliardi di tasse pari a un modesto 6,5% del valore aggiunto in rapporto all’8,4% del Molise (maglia nera della classifica nazionale) seguito a ruota dall’8,3% dell’Umbria a parimerito con Marche e Puglia. L’assessore regionale al Lavoro, Elena Donazzan, però, non ci sta e rigetta la definizione stessa di «evasione fiscale»: «Per le nostre aziende - spiega - non si tratta di evasione. La situazione, per molte, è un grande carico di lavoro e, nel contempo, la scelta, consapevole, di lasciano fra gli arretrati i pagamenti all’Inps o all’Agenzia delle Entrate. Lo fanno con consapevolezza: decidono di pagare prima fornitori, dipendenti e banche. Ad esempio sui fornitori, la scelta è chiara, decidono scientemente di non strozzare i colleghi, procastinare i pagamenti alle banche è impossibile quindi non ci sono alternative: lasciano indietro l’erario. Rifiuto, quindi, il concetto di evasione classicamente inteso, serve un ragionamento di sistema».
Venendo a un panorama complessivo, dallo studio della Cgia sull’evasione, emerge una diminuzione di oltre 6 miliardi di euro rispetto all’anno precedente. In Italia sulla base di «non corrette dichiarazione dei redditi» ci sono 93,2 miliardi di euro di imponibile evaso imputabili direttamente alle imprese e alle partite Iva. Il 44,9% degli evasori, insomma, sono aziende o partite Iva. Un altro 37,3% dell’evasione è riconducibile al lavoro irregolare e, infine, un ulteriore 17,8% è ascrivibile alle attività illegali e ai fitti in nero.
Questa tripartizione si traduce, per il Veneto, in 9 miliardi circa di imponibile su cui non si sono pagate le tasse da parte delle aziende, 5,2 miliardi alla voce lavoro irregolare e 2,7 miliardi per fitti in nero e attività illegali. Scavando fra i settori aziendali, la sacca che evade di più è quella dei servizi professionali (attività legali e di contabilità, di direzione aziendale e di consulenza gestionale, studi di architettura e di ingegneria, collaudi e analisi tecniche, altre attività professionali, scientifiche e tecniche e servizi veterinari). I liberi professionisti, secondo l’Istat questa volta, vedono l’incidenza della sottodichiarazione del reddito di impresa sul valore aggiunto totale più alta tra tutti i macro settori pari al 16,2%. Seguono il commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti, alloggi e ristorazione (12,8) e le costruzioni (12,3). Il rischio evasione nei servizi alle persone si ferma all’8,8%. La ricetta della Cgia è sempre la stessa: «pagare tutti per pagare meno». «Per combattere questa piaga sociale ed economica – conclude Zabeo - la strada da percorrere è una sola: ridurre il peso del prelievo fiscale e rimuovere i numerosi ostacoli burocratici. Ovviamente gli evasori seriali vanno perseguiti e messi nelle condizioni di non farlo più, ma attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio. Esiste anche un’evasione di sopravvivenza aumentata con la crisi, per cui non pagare le imposte ha consentito la salvaguardia della continuità aziendale e dei posti di lavoro».