Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«No comment» La rabbia rap del vicentino Nitro
Il cantante vicentino presenta il suo nuovo cd e si prepara ad incontrare i fan veneti. «Essere nato in questo territorio mi ha formato e mi aiuta a tenere sempre la testa bassa» spiega. Album cupo? «Riflette i tempi in cui viviamo»
C’è rap e rap. Quello del vicentino Nitro, punta di diamante della Machete Crew di Salmo, è fitto di rime, cupo, pieno di conflitti e, quindi, anche di spunti di riflessione.
Un rap che ha conquistato il pubblico prima con «Danger» del 2013, poi con «Suicidol» di due anni più tardi (disco d’oro per le vendite), e che, da domani, si incarnerà nel terzo album «No comment». Il lungo tour instore di presentazione inizierà proprio dal Veneto, domani con una doppia tappa alla Feltrinelli della stazione di Verona (ore 15) e al Saxophone di Vicenza (ore 18), mentre sabato il rapper Nicola Albera sarà alla Mondadori di Padova (ore 15) e poi alla Feltrinelli di Mestre (ore 18).
In «Passepartout» si autodefinisce “mainstream underground”, che cosa significa questo ossimoro?
«Anche se ho risultati da mainstream, nella mentalità rimango underground. Non sono un artista pop italiano, non faccio musica programmata per piacere alla massa».
In «Ho fatto bene», c’è il verso «accusato di aver piani troppo grandi per un vicentino». Essere nato qui è stato un ostacolo?
«È stato un aiuto. Mi ha formato e mi ha fatto capire quanto si deve lottare per ottenere ciò che si vuole. Sapere da dove vengo mi aiuta ancora oggi a tenere la testa bassa, sapere in che contesto sono cresciuto mi aiuta a capire chi sono e come comportarmi». I suoi primi instore partono dal Veneto, è solo un caso? «Mi piace iniziare da dove sono partito, tornare a casa e capire che facendo bene. Il Veneto è uno dei posti dove vale il proverbio del “nessuno è profeta in patria”. Per questo è ancora più bello poterlo sfatare».
La sua estetica è molto distante da quella della trap o di altro rap italiano? «La differenza è che la mia
estetica non compromette minimamente la musica; ne fa parte ma non la compromette».
Cita film horror cult come “Buio Omega”, registi come Takashi Miike, e tantissime serie tv. Come rientra la cultura pop nelle sue canzoni?
«Parlo di quello che mi influenza e mi piace. Esattamente come parlo di quello che vedo in giro e non mi piace. Nella mia musica c’è spazio per entrambe le cose». Alcuni cantautori come Francesco De Gregori dicono che i rapper ricoprono il ruolo che avevano loro negli anni settanta: è d’accordo?
«Finalmente l’hanno detto. Pensavo che i cantautori continuassero a fare ostruzionismo verso il rap. Sono abbastanza d’accodo, ma forse non è il rap che testimonia il cantautorato, ma è il cantautorato che ha posto delle basi per lo sviluppo del rap». Come mai «No comment» è un album arrabbiato e cupo? «È lo specchio degli ultimi anni, di come mi sono sentito fino adesso». Se quest’album fosse un film di che genere sarebbe? «Sicuramente sarebbe scifi. Sarebbe “Matrix”, “Blade Runner” o “L’esercito delle 12 scimmie”». Se non avesse fatto il rapper, che mestiere avrebbe scelto? «Di solito rispondo il clochard, perché non riesco ad immaginare una vita senza rap. Oggi però direi il professore o lo psicologo».