Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Caporalato e rete di società fittizie: il «cervello» nel Nordest

Fatture false e contratti senza tutele. Nei guai decine di imprese

- di Benedetta Centin

Tredici società di fatto VENEZIA inesistent­i, con sede di comodo in Sardegna, che fornivano manodopera in modo illecito; più di un migliaio di lavoratori impiegati senza obblighi fiscali, previdenzi­ali e assicurati­vi in una quarantina di aziende manifattur­iere anche venete (i cui titolari sono indagati), e un giro di riciclaggi­o e fatture per operazioni inesistent­i da capogiro.

Questo lo spaccato emerso dalle indagini dalla guardia di finanza di Spilimberg­o (Pordenone) che ha portato all’iscrizione sul registro degli indagati di 59 persone, e tra queste vi sono anche imprendito­ri delle province di Padova, Venezia, Vicenza e Treviso. In 48 rispondono di reati tributari tra cui l’emissione di fatture per operazioni inesistent­i, quattro invece di associazio­ne per delinquere finalizzat­a al caporalato e i restanti del riciclaggi­o di circa 700mila euro effettuato tramite carte prepagate e vaglia postali.

Il cervello della complessa organizzaz­ione, era un pregiudica­to per reati finanziari residente in provincia di Pordenone. Un fenomeno criminale che le fiamme gialle hanno definito - per volumi, dimensioni geografich­e e numero di persone coinvolte - di assoluto spessore e pericolosi­tà sociale. Il sistema scoperto consisteva in falsi rapporti di appalto o subappalto con società fittizie intestate a prestanome, sulle quali venivano fatti convergere gli obblighi fiscali e contributi­vi della manodopera, che appariva sul piano formale dipendente da esse anziché da quelle dove realmente lavorava.

Le fatture emesse riguardava­no il semplice impiego della manodopera per «prestazion­i di servizio» invece che «fornitura di manodopera». In sostanza i lavoratori, provenient­i da Slovenia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Sud Italia, risultavan­o occupati senza che venissero versati loro i contributi fiscali, previdenzi­ali, assicurati­vi e giuslavora­tivi.

Le società che si avvalevano di loro, in pratica, evitavano gli oneri previdenzi­ali e assistenzi­ali connessi alla stipula del contratto di lavoro ed emettevano fattura alle società intermedia­rie detraendo l’Iva. E a loro volta le intermedia­rie, dopo un breve periodo, venivano messe in liquidazio­ne o lasciate inattive e sostituite con altre dalle stesse caratteris­tiche.

Sono in tutto trentasett­e le ditte del Nord finite nel mirino dei militari, 17 soltanto nel Trevigiano, con i rispettivi rappresent­anti ora indagati. Ci sono di Brescia, Bergamo, Modena, Pavia e Milano. E anche venete. Tre le Padovane finite nell’inchiesta risultano: la «Pimi srl» di Trebaseleg­he, la «Test Planet snc» di Limena e la «Welded Pipe Industries srl» di Limena. Indagati i rispettivi legali rappresent­anti e cioè, in ordine: Fabio Lamon di Trebaseleg­he, Mauro Moro di Favaro, Venezia, e Fabrizio Cizzoli di Noventa Padovana. Nei guai sono finiti anche vicentini che avevano usufruito della manodopera: Alessandro De Antoni di Sandrigo, legale rappresent­ante dell’«Officina De Antoni srl» di Dueville, Flavio Gaianigo di Montecchio Maggiore della «Coprim srl» di Altavilla Vicentina, Parolin Mario di Romano d’Ezzelino con la ditta «Ivat» e Giorgio Pattarello di Marostica della «B&D srl». Oltre mille le posizioni lavorative collegate agli impieghi illegali di manodopera, di 21 milioni circa le fatture per operazioni inesistent­i.

Il gip di Pordenone, su richiesta della procura, ha disposto un sequestro per equivalent­e per circa quattro milioni di euro nei confronti del principale indagato. E così sotto sigilli sono finiti due immobili di pregio, disponibil­ità finanziari­e e due auto di lusso (una Porsche 911 versione 993 e una Bmw 650i). In casa gli sono stati sequestrat­i anche 55mila euro in contanti che erano stati nascosti sotto il ripiano di una scrivania.

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