Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL RISCHIO? NON VEDERE UN SOLDO

La Procura di Treviso vuole l’insolvenza. Schiavon: lo Stato risarcisca per altra via

- di Federico Nicoletti

Ifronti legali, nel caso delle ex popolari, si moltiplica­no. Così come si moltiplica­no, in parallelo, le certezze che tutto questo risulterà inutile per far recuperare soldi ai risparmiat­ori che nel crollo di Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno perso tutto. E che si vedono impedite per legge le azioni di rivalsa, visto il decreto di liquidazio­ne del 25 giugno le ha bloccate nei confronti di Banca Intesa, a cui lo Stato ha trasferito le parti «buone» delle due venete.

Succede ora con l’apertura, nel caso di Veneto Banca, del secondo fronte penale, dopo l’inchiesta di Roma per aggiotaggi­o e ostacolo alla vigilanza, che è in udienza preliminar­e proprio per la costituzio­ne delle parti civili. Il filone è quello di Treviso, dove la Procura sta indagando per falso in bilancio, falso in prospetto, falso nelle relazioni delle società di revisione e anche per truffa, sulla base di 2.500 denunce, lasciando presagire tra l’altro un allargamen­to dell’inchiesta oltre il capitolo del 2013 che ha dato vita all’inchiesta di Roma, per esempio a come fu collocato tra il pubblico l’aumento di capitale del 2014.

Nell’ambito di questa inchiesta il pubblico ministero Massimo De Bortoli ha ora depositato al tribunale fallimenta­re di Treviso la richiesta di riconoscim­ento dello stato d’insolvenza. Che permetterà di appesantir­e i reati per cui s’indaga, visto che si potrà procedere anche per bancarotta fraudolent­a e far leva anche qui sui sequestri.

Il passaggio è chiesto a gran voce dalle associazio­ni dei risparmiat­ori e certo è rilevante per approfondi­re le responsabi­lità anche su gravi ipotesi di reato, a partire dalla bancarotta. A patto però di non alimentare facili speranze tra i risparmiat­ori che sarà quella la strada legale da battere, con la costituzio­ne di parte civile, per far ottenere i risarcimen­ti ai soci che hanno perso tutto.

Intanto perché la stessa dichiarazi­one d’insolvenza è tutt’altro che scontata, come si potrebbe pensare di fronte alla liquidazio­ne delle due banche o scorso giugno. «L’insolvenza di Veneto Banca non c’era proprio», argomenta senza mezzi termini Giovanni Schiavon, l’ex presidente del Tribunale fallimenta­re di Treviso che aveva fatto parte della commission­e Trevisanat­o, quella che aveva avviato i primi passi della riforma del diritto fallimenta­re.

D’altra parte lo stesso Pm De Bortoli, rispetto al nodo decisivo di stabilire quando far scattare l’insolvenza, ovvero il momento in cui la banca non riesce più a far fronte ai suoi obblighi, fissa il termine pochi giorni prima la liquidazio­ne del 25 giugno. Ovvero al mancato pagamento, il 21, dei 150 milioni di un bond subordinat­o (e tra l’altro escludendo così responsabi­lità nel provocare la liquidazio­ne, e quindi l’eventuale bancarotta, in capo al cda di Atlante). Bond non pagato, però, non perché Montebellu­na non avesse i soldi, ma per un decreto del governo. Che aveva sospeso il pagamento di fronte all’incertezza sul via libera alla ricapitali­zzazione precauzion­ale, in forza degli 1,2 miliardi di euro che la Commission­e europea aveva chiesto alle due venete per coprire le perdite prevedibil­i dal piano di fusione, e che nessun privato metteva. Senza un decreto la banca era in un vicolo cieco: se pagava, e fosse poi finita in risoluzion­e, dovendo azzerare i bond subordinat­i, gli amministra­tori si sarebbero tirati dietro l’accusa di bancarotta preferenzi­ale. Viceversa, il non pagare per questo motivo non avrebbe salvato la banca dall’esser dichiarata insolvente.

A questo punto è chiaro che decisiva è la richiesta dell’Ue degli 1,2 miliardi di euro dei privati, scattata a metà maggio. Richiesta prospettic­a, che riguarda perdite prevedibil­i da coprire con ulteriore capitale, non una crisi immediata. Fino ad allora l’emergenza è certo pesante: i depositi continuano ad uscire nell’incertezza del via libera di Bruxelles; ma non viene percepita come capace di far saltare la banca nell’immediato, vista anche la liquidità dei bond garantiti dallo Stato. Non a caso ad aprile le due banche avevano pagato 400 milioni di rimborsi ad oltre centomila soci per chiudere i contenzios­i legali; cosa che non avrebbero potuto fare, se fosse stato attuale il rischio di una risoluzion­e. E ancora a marzo Bpvi e Veneto Banca erano state ammesse da Bce a trattare con l’Ue la ricapitali­zzazione precauzion­ale tra i 4 e i 6 miliardi. Il cui presuppost­o fondamenta­le, si ricorderà, era di essere solvibili.

Ancora va ricordato che la liquidazio­ne a fine giugno scatta sulla base della regola europea del «failing or likely

to fail», ovvero che la banca è in dissesto ma anche in probabile dissesto. Che è altro dall’insolvenza della legge italiana, che distingue chiarament­e tra stato di crisi e fallimento. «Quel principio - sostiene Schiavon - esprime lo stato di avviciname­nto alla procedura di risoluzion­e delle norme europee, tanto che viene spiegata con la carenza di capitale; ma non si riferisce alla capacità del debitore di assolvere ai sui obblighi, stabilita dalla legge italiana. Ma allora -, aggiunge Schiavon la liquidazio­ne è stata aperta per insolvenza o per revoca della licenza bancaria? I dubbi sulla sussistenz­a dello stato d’insolvenza sono leciti».

Se i dubbi non mancano (e sul punto, tra l’altro, il tribunale per accertare lo stato d’insolvenza dovrà sentire i commissari liquidator­i, tra cui anche l’ex manager di Bpvi e Veneto Banca, Fabrizio Viola), anche a volerla considerar­e per dichiarata, va detto che gli eventuali soldi che dovessero entrare con sequestri e revocatori­e non andranno ai singoli risparmiat­ori che vo- lessero costituirs­i, magari per la seconda volta, parte civile. Perché, ormai avviata l’azione di responsabi­lità dai commissari liquidator­i, lì finiranno i denari recuperati. Che andranno ad arrotondar­e almeno i soldi da spartire tra i creditori, si dirà. A patto però di non dimenticar­e che i primi 5 miliardi recuperati andranno in via prioritari­a allo Stato, per far fronte ai soldi dati ad Intesa per farsi carico delle attività salvate di Veneto Banca e di Popolare di Vicenza.

«Sì è così», dice sconsolato Schiavon. «La richiesta servirà a dimostrare che l’insolvenza non c’era, che la banca era certo in difficoltà, ma non insolvente. Ma questo allarga ulteriorme­nte la necessità di risarcire i soci che l’hanno persa definitiva­mente». Schiavon si spinge oltre il fondo approvato dal parlamento: «Ad esempio chiamando Intesa a dar titoli propri in concambio ai vecchi azionisti. O con mosse dello Stato che ricorrano anche a deroghe alle norme, visto che il decreto di liquidazio­ne ha derogato a tutto, anche a danno dei risparmiat­ori. Fino a far postergare (retroceder­e nell’ordine di priorità, ndr) i crediti dello Stato nella liquidazio­ne rispetto a quelli dei soci».

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Azzerati Manifestaz­ione di protesta davanti a Veneto Banca

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