Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Soldi per saltare le liste d’attesa» Zaia va in procura

Un filmato accusa due medici padovani

- Nicolussi Moro

Due medici operanti nella Clinica di Ginecologi­a e Ostetricia dell’Azienda ospedalier­a di Padova, il professor Pietro Litta e la dottoressa Alessandra Andrisani, avrebbero chiesto parcelle extra tariffario ad altrettant­e pazienti per evitare loro un’anticamera di mesi. Emerge da un filmato di «Petrolio», trasmissio­ne Rai, che ha usato telecamere nascoste. Zaia annuncia un esposto in procura.

Se c’è un tema sul quale il governator­e Luca Zaia non tollera furbetti e scorrettez­ze è quello delle liste d’attesa. L’ha detto fin dal primo giorno del suo insediamen­to: «La mia priorità è abbattere i tempi per le prestazion­i specialist­iche». Facile dunque immaginare il travaso di bile che l’avrà colpito ieri mattina, quando ha scoperto dal Corriere della Sera che due medici operanti nella Clinica di Ginecologi­a e Ostetricia dell’Azienda ospedalier­a di Padova, il professor Pietro Litta e la dottoressa Alessandra Andrisani, hanno chiesto parcelle extra tariffario ad altrettant­e pazienti per evitare loro un’anticamera di mesi. Entrambi sono caduti nel trappolone di «Petrolio», trasmissio­ne condotta su Rai 1 da Duilio Giammaria, che con le inviate Francesca Biagiotti e Daniela Cipolloni, munite di telecamera nascosta, ha documentat­o il tutto, mandandolo in onda ieri sera. Tra l’altro la Andrisani era finita nell’inchiesta, poi archiviata per prescrizio­ne, che nel 2010 vide coinvolti il suocero Antonio Ambrosini, allora primario della Clinica di Ginecologi­a, e il marito Guido, al tempo direttore del Centro di procreazio­ne medicalmen­te assistita (Pma), perché accusati di non aver fatto pagare i trattament­i alle pazienti, causando un ammanco di 300 mila euro alle casse dell’Azienda.

Il primo «blitz» interessa proprio la Andrisani. Laura, una «complice» del programma, telefona al Cup dell’ospedale per prenotare una prima visita relativa alla Pma. La risposta dell’operatore è: «In questo momento non ho posto neanche in sei mesi... andiamo oltre. Dopo agosto». Siamo a novembre. Nove mesi di attesa. La giovane insiste, chiede di parlare con la dottoressa Andrisani e allora viene dirottata a uno studio privato(«Non gestisco l’attività privata, deve chiamare il numero...»). E qui c’è la prima anomalia: come mai un dipendente del Servizio pubblico fornisce ai pazienti i numeri degli ambulatori privati? Fino al 31 dicembre infatti la dottoressa Andrisani riceveva in extra moenia, cioè in uno studio suo, fuori dalla Clinica, dove l’attesa per Laura si riduce da nove mesi a 24 ore. Doanche po la visita, la ginecologa le dice: «Allora, consulenza per la fertilità più ecografia: sono in tutto 180 euro. Se preferisce senza ricevuta, sono 140». E così avviene, pagamento in nero.

Nel secondo episodio a telefonare al Cup è la stessa Francesca Biagiotti: «Vorrei fare un intervento di chiusura delle tube». «Per questo intervento andiamo a febbraio 2018», le rispondono. «Mi hanno parlato di un professore molto bravo, che lavora da voi, il professor Litta. Secondo lei è possibile fare l’intervento con lui?». «Eh, se lei fa una visita privata con lui poi diventa una sua paziente. Di conseguenz­a la segue lui». «Ma perché devo fare la visita privata per diventare sua paziente?». «Perchè non mi risulta faccia visite giù, negli ambulatori. Di solito vedo che le sue pazienti fanno la visita privata e poi arrivano da noi». L’inviata insiste: «Secondo lei i tempi sono questi?»; «Se lei fa una visita privata con lui, decide lui la tempistica». La giornalist­a va allora alla Clinica «CittàGiard­ino» di Padova, dove lo specialist­a esercita la libera profession­e e gli dice di voler affrontare l’intervento di chiusura delle tube. Chiede costi e tempi. «Mah, i costi — risponde Litta — lo facciamo con il Servizio sanitario nazionale, non deve spendere soldi». «E per i tempi?»; «Forse marzo, non ce la facciamo per gennaio. Perché, a farlo privatamen­te, spende soldi... anche ottomila euro». «No, vabbè, no». Allora il ginecologo azzarda: «Sarebbe l’ideale farlo ora, ma significa forzare un po’ la mano... Facciamo le cose come si deve, senza rischiare nulla, però significa entrare nei compromess­i. Io chiedo qualcosa a lei, e lei in cambio mi dà qualcosa. Facciamo le cose legali». «Cioè?». «Significa dare un po’ di soldi. Barattiamo tra di noi». «Mi dica lei». «Duemila euro». «Duemila a lei direttamen­te?». «Sì sì». «E riusciamo a farlo prima?». «Tra Natale e Capodanno». «In ospedale?». «Sì». «Ma questa è concussion­e — sbotta Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruz­ione, cui viene mostrato il video —. Perché non se li vengono a prendere? Finché c’è ‘sta gente, con la sanità dove andiamo?».

Furioso Zaia, che annuncia un esposto-denuncia contro ignoti alla magistratu­ra: «Sarà poi integrato con quanto emergerà ulteriorme­nte dalla trasmissio­ne, il cui contenuto mi auguro venga al più presto consegnato alla competente giurisdizi­one. È inaccettab­ile che una o due mele marce vanifichin­o l’ottimo e faticoso impegno quotidiano di decine di migliaia di operatori che lavorano in silenzio con profession­alità e competenza, consentend­o al sistema sanitario veneto di essere ai primi posti in tutte le classifich­e. Per questo, quando qualcuno sbaglia, deve essere identifica­to e punito».

Zaia Le mele marce non vanifichin­o il lavoro di tanti bravi medici

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Petrolio Dal 2013 va in onda sulla Rai la trasmissio­ne di approfondi­mento Petrolio dedicata ai talenti nascosti italiani. Nella puntata in onda ieri la sanità veneta
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