Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Da Treviso a Verona Quando le città erano dipinte
Il poderoso lavoro di catalogazione di Chiara Voltarel e Rossella Riscica confluito nel magnifico volume pubblicato da Fondazione Benetton Studi Ricerche con Antiga edizioni intitolato Urbs
picta ordina e scheda tutte le facciate affrescate della città di Treviso. Un’opera preziosa per ampiezza e profondità, dotata di un apparato iconografico ricco di sorprese che permette di ammirare dettagli prima mai messi a fuoco; ma Treviso città d’acque, con uno sviluppo di portici che la pone tra le più attrezzate al passeggio, composita nei colori e nelle geometrie delle sue facciate affrescate è la capofila di una nutrita serie di
urbes pictae – città dipinte che disegnano una specialissima geografia nel Nordest italiano.
Nel Veneto l’elenco dei centri urbani – solitamente cittadine poste nella fascia immediatamente pedemontana della regione - è piuttosto ampio, basti pensare alla mappa che partendo da Est con Portogruaro, Pordenone, Serravalle, Conegliano scende in pianura a Treviso per risalire poco più a Ovest sulla collina di Asolo e per scendere proprio all’imbocco della Valsugana con Bassano del Grappa, e poi di nuovo sulla dorsale verso Feltre e Belluno.
Solo per nominare gli agglomerati urbani dove la «moda» dell’affresco in facciata si faceva diktat, nell’inoltrato Trecento e per tutto il secolo successivo, colorando le fitte vie del vivere comune di tinte vivacissime e motivi per geometrie e giochi di simboli nati dalla tradizione e dall’estro di qualche fantasioso
murer chiamato per l’ultimo tocco sugli intonaci freschi prima dello smontaggio delle impalcature di costruzione. Ma se in questo succinto elenco di urbes pictae ci pare di ritrovare il filo rosso di una qualità cromatica che ancora ci abbaglia nonostante la sua apparenza oggi ormai dilavata, fantasmatica, pallida ombra di quello che è stato anche solo cinquant’anni fa (come alcune foto del volume su citato ci mostrano con implacabile evidenza di raffronto tra un vicinissimo ieri e l’attualità), basterebbe immaginare cosa veramente era la geografia cromatica della terra veneta dalla provincia alla città, includendo in questa proiezione la mappatura dei centri importanti quali Verona, Vicenza, Padova e, naturalmente, Venezia.
Lo storico dell’arte Andrea Bellieni, direttore del Museo Correr di Venezia, che già negli anni Novanta si era occupato delle facciate dipinte della Marca, sottolinea che la moda degli affreschi nelle nostre città era certamente di eredità nordica-continentale, quasi una necessità di introdurre note cromatiche vivaci nella cupezza dei lunghi inverni dei climi settentrionali e che nelle terre venete tale moda di terraferma sviluppatasi nei secoli XIII-XV aveva tratto esempio da Venezia, le cui facciate fittissime di intarsi cromatici e motivi geometrici rendevano la città lagunare un autentico emporio di modelli pittorici.
Basta osservare i quadri di Vittore Carpaccio o di Giovanni Mansueti per averne una immagine chiara: palazzi letteralmente ricoperti di intrecci e tarsie di scacchiere multicolori si confondono in una pazzia di horror vacui con i drappi preziosi che pendono dai davanzali delle finestre gotiche, là dove i marmi policromi, nei palazzi maggiori, sono la veste aristocratica della città.
A Venezia, nei secoli successivi, gli affreschi prenderanno la forma di narrazioni leggendarie o bibliche, a firma dei grandi del momento: Giorgione che affresca facciate a San Polo, al Fontego dei Todeschi, con Tiziano (quel Fontego tristissimamente algido di oggi); così nel Cinquecento anche nella terraferma l’affresco di facciata si popola di figure e storie, come un grande libro da sfogliare sotto i cieli pedemontani.
Nelle città grandi di commercio e sapere, Padova, Verona, Vicenza, il modello veneziano viene deliberatamente abbandonato, quasi un gesto di autonomia più culturale che economica e politica, e sostituito dai modelli monumentali palladiani e dalle loro monocromie.
A Treviso e nelle piccole città sotto le alture azzurre la fedeltà al Leone serenissimo e la sopravvivenza di una economia a modello agricolo non stimolano iniziative culturali che si differenzino dalla matrice veneziana: resta dunque l’abitudine delle facciate a fresco, moderatamente ben conservate, salvo demolizioni tardo ottocentesche, in quasi tutti i centri urbani. E per tornare a Treviso, come ottimamente ricordato nel volume sopra citato, grazie a alcune figure illuminate come Luigi Bailo e più tardi Luigi Coletti e Mario Botter, la salvaguardia delle facciate è imperativa: Coletti nel 1935 notifica con vincoli anche case di poco impatto, ma significative per affreschi o brani di affresco.
Con il tragico bombardamento del 7 aprile 1944 crolla o viene danneggiato circa l’80% degli edifici, nella fase di ricostruzione – ricorda Bellieni-. È proprio grazie ai vincoli inscritti da Coletti che larga parte delle facciate mino riviene ricostruita. Sta all’oggi e alla nostra consapevolezza tramandare la grazia che abbiamo–spesso indegnamente ricevuto dalla storia.