Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Così Bpvi lucrò sugli investimen­ti fatti dal boss»

Mion: «Non c’entro. L’indagine è un atto dovuto»

- Di Andrea Priante

Mutui, prestiti personali, acquisto di azioni. Tutte operazioni compiute nella filiale di Vigonza dal presunto boss Antonio Bertucca che, per l’accusa, consentiro­no a Bpvi di lucrare su quel cliente poi finito in manette.

VICENZA «È un atto dovuto. Ovviamente non c’entro niente con le azioni commesse dai dipendenti e che riguardano la banca: nel periodo in cui sono avvenuti non ero nemmeno ancora in Bpvi». Si dice tranquillo, l’ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Mion, finito nelle maglie dell’inchiesta per il riciclaggi­o

Il gip/1 Fidelizzar­e il cliente consentì alla banca di lucrare sui depositi

che sarebbe stato commesso dal direttore di una filiale.

Il provvedime­nto è stato notificato a lui come alla liquidazio­ne di Bpvi, in qualità di referenti della banca. E che l’iscrizione nel registro degli indagati di Mion sia un «atto dovuto», lo confermano anche fonti della procura. Ma resta il fatto che qualcosa, all’epoca, non funzionò nel sistema di autocontro­llo della Popolare, al punto da consentire agli inquirenti (che hanno eseguito 16 arresti) di ottenere il sequestro alla banca di 187mila euro.

Secondo l’accusa, il direttore della filiale di Vigonza finito ai domiciliar­i, Federico Zambrini, e il suo collaborat­ore Roberto Longone avrebbero «operato anche nell’interesse dello stesso istituto da cui dipendevan­o - scriva il gip - dato che in tal modo hanno fidelizzat­o i clienti, consentend­o alla banca di lucrare su commission­i, depositi, altresì scongiuran­do il rischio che Bartucca (Antonio, il capo dell’organizzaz­ione, ndr) chiedesse un risarcimen­to dopo che apprese dell’azzerament­o del valore delle azioni fattegli acquistare per accedere a dei finanziame­nti». Perché pare impossibil­e ma perfino un (sospetto) criminale come Bartucca compare nell’elenco dei soci gabbati da Bpvi: Zambrini gli fece acquistare 66mila euro di azioni. Eppure continuò ad affidargli i propri soldi, consentend­o «soprattutt­o dei diretti vantaggi economici per la stessa banca - prosegue il gip - in favore della quale Zambrini riuscì a vendere al Bartucca molteplici prodotti finanziari: polizze assicurati­ve, titoli obbligazio­nari, prestiti, mutui... Tutti strumenti di grande redditivit­à per il solo istituto di credito». Insomma, anche per questo motivo il boss veniva trattato come «cliente privilegia­to al quale sono state consentite transazion­i con denari di provenienz­a delittuosa».

Ora la procura bussa alla porta della banca perché già nel 2013 l’Audit (l’organo di autocontro­llo) vide qualcosa di anomalo nei conti, al punto da invitare il responsabi­le di filiale a «ricondurre nell’alveo della legalità» le operazioni. Ma nonostante le avvisaglie, «fino al 10 marzo 2016 non risulta alcuna attività di ispezione e vigilanza da parte dell’Audit»

e neppure «alcuna segnalazio­ne di Bartucca a opera (...) dei superiori organismi dell’istituto». Anche questo, per l’accusa, contribuis­ce a dimostrare «l’assoluta mancanza di strumenti di vigilanza e di protocolli per la efficace prevenzion­e della commission­e di delitti a mezzo banca».

Il gip/2 Assoluta mancanza di strumenti di vigilanza e di prevenzion­e

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