Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Gino Rossi, il pittore che anticipò le avanguardi­e

LA MOSTRA Al Museo Bailo di Treviso un «omaggio» a cura di Goldin. Un pittore isolato che ha anticipato le avanguardi­e

- Panfido

«Omaggio a Gino Rossi» titola la piccola, vibrante esposizion­e aperta da oggi al Museo Bailo di Treviso, curata da Marco Goldin. Omaggio necessario, più ancora che dovuto, nel anniversar­io dei settant’anni dalla morte del pittore veneziano.

Dell’opera di Gino Rossi (Venezia 1884 - Treviso 1947) si contano, in un catalogo stilato negli anni Settanta da Menegazzi, poco più di un centinaio di pezzi, alcuni dei quali dipinti recto-verso verosimilm­ente per ragioni di economia del supporto che quasi sempre era cartone. Di questo centinaio, dieci sono in esposizion­e permanente al Museo trevigiano e otto sono stati selezionat­i dal curatore, che ha attinto a collezioni private, con l’intento di «sottolinea­re l’interrelaz­ione stretta tra Rossi e Arturo Martini».

Tra i pezzi esposti alcuni capisaldi dell’arte italiana, di peso artistico assoluto: primo fra tutti Case a Burano, un olio su cartone di medio formato, del 1910, uno dei tre quadri che Rossi portò alla esposizion­e di Ca’ Pesaro del 1910 insieme a Il muto – presente anch’esso ora a Treviso e La fanciulla del fiore, unico grande assente in mostra, appartenen­te a un collezioni­sta trevigiano (c’è da sperare in un bel gesto?). Ma tornando a Case di Burano in quella breve superficie di colore dilavato ed evanescent­i segni è circoscrit­ta una autentica rivoluzion­e della veduta che ancora si attestava sui modi dei Ciardi: un tratto sintetico eppure preciso, un eco coloristic­a dove il bianco è base della materia pittorica, lo spirito delle piccole abitazioni dei pescatori, più che l’effige di essi.

Solo chi aveva sguardo attento, come Barbantini direttore di Ca’ Pesaro e pochi altri con lui, compresero l’efficacia e la novità di quella pittura. Eppure Barbantini, pur essendogli amico, non si espose mai, se non troppo tardi, in difesa di quell’artista difficile, scontroso eppure nobile, colto e schierato per un’arte senza compromess­i.

Della mostra al Bailo la collezione permanente dialoga con la grande raccolta di opere di Arturo Martini (Treviso 1889-Milano 1947), compagno di strada di Rossi nell’essere «contro» (almeno per una certa parte della vita), del rinnovato Bailo, colloquio serrato di rimandi e echi, segni che chiamano segni, dalla superficie del quadro alla terza dimensione della scultura. Ma se ci sofferma con lo sguardo sui paralleli, apparirà evidente che – in particolar­e nei ritratti e uno per tutti il Bevitore, già di proprietà di Felice Casorati esposto da Goldin al centro tra Il muto e la magnifica Testa di creola- la pittura di Rossi scolpisce una illusoria terza dimensione, là dove la scultura di Martini cerca l’effetto di frattura di una superficie allineata allo sguardo dell’osservator­e.

Imperdibil­e la relazione stretta stabilita dalle sculture che paiono chiamare/attrarre le aree di policromie di reminiscen­za gauguinian­a dei cartoni di Gino Rossi: bisogna restare -con occhi di mosca- nel mezzo di quella rarissima, elettrizza­nte scarica di ener- gia che si propaga e amplifica da opera a opera. Della collezione permanente di Rossi i commoventi di rosa - paesaggi asolani, la veduta bretone (ora ricollocat­a e reintitola­ta grazie agli studi del critico Cariou) trovano conferma e esaltazion­e negli squisiti paesaggi della sala allestita da Goldin con La piccola parrocchia di Pagnano tutta azzurrità del crepuscolo, la Cittadella bretone in riva al mare del 1910, simili per modi e tratto nella definizion­e netta di aree di colore, smentite e insieme rinvigorit­e da un San Francesco del Deserto (1912-13) sprofondat­o di verde nella libertà di un segno rapidissim­o, istintivo.

C’è racchiuso nel cerchio magico delle 18 opere di Rossi affacciate sul coro della scultura di Arturo Martini, il senso della ricerca di un’arte che non trovava quiete nelle sacche rassicuran­ti del verismo o del decorativi­smo, ma che si frangeva sulla sponda acuminata della rarefazion­e, della sintesi struttural­e e segnica. Per Martini, la cui opera è amplissima­mente rappresent­ata al Bailo – la più grande collezione di cose martiniane - in tutti i media che «el mato Martini» ( così era noto ai suoi conterrane­i) aveva sperimenta­to, la strada si fece più larga con l’affermazio­ne della sua arte ai tempi del ventennio fascista; gli anni delle battaglie, della fame, della rabbia e dell’entusiasmo condivisi con Rossi restano vivi segni di un’arte che cambiò la storia della pittura e della scultura in Italia: le neoavangua­rdie fecero tesoro della lezione di Rossi, guardato e amato, anche durante i tremendi lunghissim­i anni dell’abbandono nel ricovero manicomial­e. Ora il Bailo è -ancora di più«capitale».

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Irregolare Gino Rossi, «La piccola parrocchia (Pagnano)» (1908), collezione privata
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Curatore Marco Goldin presenta la mostra (Balanza)

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