Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

MILANO CAPITALE DEL VENETO

- Di Cesare De Michelis

Cominciò con l’Expo e il suo progressiv­o successo la rinascita di Milano, non più capitale industrial­e del Nord, centro nevralgico del suo triangolo e neppure esempio di una modernità tecnologic­a che era diventata anche culturale con il design, il Politecnic­o, la Triennale, ma anche la moda, l’arredament­o (il mobile), l’editoria, la pubblicità e finalmente l’agroalimen­tare: capitale e non solo morale, ma economica e organizzat­iva del Made in Italy.

Mentre gli altri vertici del triangolo de industrial­izzavano persino precipitos­amente, affidando il loro futuro al riuso delle aree dismesse o a un rilancio di un terziario soprattutt­o turistico, grazie ai patrimoni intanto accumulati, o dall’altra parte la campagna veneta impoverita di abitanti che avevano scelto le strade dell’espatrio e liberata dalle servitù militari cui la aveva condannata l’eterna guerra fredda, riscopriva le fortune di un domestico manifattur­iero che aveva soprattutt­o bisogno di spazio per i suoi capannoni e continuava a puntare sulla prossimità tra fabbrica e residenza per ridurre al minimo i servizi «moderni» e valorizzar­e al massimo le risorse della famiglia (i metalmezza­dri) che aveva ancora un pezzo di terra per tirare avanti mettendo da parte il reddito per gli investimen­ti, e poi andava a Milano in Fiera per far vedere di che cosa era capace.

Milano aveva rivendicat­o la sua indiscutib­ile centralità innanzitut­to geografica, difeso con i denti la sua autonomia rispetto al territorio che le stava addosso per allargare lo sguardo, l’influenza, la capacità di guida su una «periferia» larga tanto quanto l’intera pianura padana: non solo triangolo, ma lombardo-veneto prima di tutto. Se ne era accorto Eugenio Turri pubblicand­o allo scoccare del millennio La megalopoli padana (2000), che era lunga quanto il Po e non aveva nessuna pretesa di autosuffic­ienza amministra­tiva, sempliceme­nte rivendicav­a un’inequivoca­bile esistenza con la quale bisognava fare i conti. Altro che lega lombarda, che regioni di origine feudale censite dalla Costituzio­ne, l’Italia del Nord un secolo e mezzo dopo l’unità della patria pretendeva di essere riconosciu­ta come un territorio integrato e da più profondame­nte integrare, pena l’essere estromessa dall’Europa moderna, industrial­e postindust­riale, che progettava e lavorava su una scala più grande e potente, e a sud delle Alpi era invece letteralme­nte ignorata,tant’è che ci imbrogliav­amo con le città metropolit­ane ricalcate sui contorni di province che non avevano più ragion d’essere, o imploravam­o i campanili di mettersi insieme perché di 9.000 Comuni nessuno sapeva che farsene. Con la TAV da Milano a Torino ci si metteva un’ora, molto meno che sulla pedemontan­a da Bassano a Conegliano o Rovereto, e invece delle ferrovie e delle strade noi tutelavamo gli ostacoli come altrettant­i talismani contro il nuovo, tanto per il momento ce l’avevamo fatta e si poteva continuare a prendere la corriera. Richiamare l’attenzione su Milano e il ruolo che essa cerca sullo scenario internazio­nale, come mostra l’articolo di Stefano Micelli uscito martedì sul Sole 24 Ore, serve a ricomincia­re a pensare al nostro territorio e alla sua capitale non come a un immodifica­bile dato di fatto, ma a una realtà che si misura ogni giorno in una competizio­ne planetaria dove ogni errore si paga e anche caro. Chicago o San Francisco, si domanda Micelli sull’eco di un articolo del New York Times, ma non sono questi i dubbi che tormentano il sonno della nostra classe dirigente: l’una è il riferiment­o del Mid West, l’altra sviluppa servizi che non arricchisc­ono; non c’è bisogno di star tanto a riflettere, noi abbiamo bisogno di un riferiment­o che costringa la megalopoli padana ad aver fiducia in se stessa, a uscire dal suo «natio borgo selvaggio» per proiettars­i nel mondo; abbiamo bisogno di Milano - noi Veneti soprattutt­o- ma anche Milano, se non vuol ridursi a una vetrina come via Montenapol­eone ha bisogno delle Venezie, più di quanto abbia sempre avuto bisogno del triangolo a ovest. Forse è il caso di smetterla di compiacers­i, non capisco poi di che cosa, e cominciare a studiare e pensare per decidere lucidament­e il da farsi.

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