Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Poca democrazia la difesa del M5S «Ma dobbiamo migliorarc­i»

Ma i militanti rispettano la sentenza del giudice: «Fa riflettere, dobbiamo migliorarc­i» E a Villafranc­a Padovana lascia tutto il gruppo: «Non ci riconoscia­mo più»

- Zicchiero

VENEZIA Caso Cinque Stelle. Dopo il pronunciam­ento del giudice, che nel respingere il ricorso della padovana Maria Elena Martinez, scrive però che «in M5S non c’è democrazia», si apre il dibattito all’interno del Movimento. I militanti rispettano la sentenza e bacchettan­o i partiti. Ma c’è chi ammette: «Fa riflettere, dobbiamo migliorarc­i».

VENEZIA Il potere di veto di Luigi Di Maio sui candidati è lontano «da canoni minimi di democrazia interna»: la sentenza del giudice di Roma Cecilia Pratesi scuote i grillini. Deputati e consiglier­i restano convinti che il M5s resti un baluardo di partecipaz­ione rispetto agli altri partiti («Loro decidono nelle segrete stanze, noi almeno abbiamo fatto votare migliaia di persone», dicono con una sola voce) ma la storia delle virtù sbandierat­e (l’onestà, le restituzio­ni, mai impresenta­bili, l’uno vale uno dei primi tempi) è un po’ come la «superiorit­à morale» che Enrico Berlinguer attaccò sulle spalle della sinistra: una patente che ti controllan­o tutti e al primo stop saltato trovi una folla pronta a toglierti sei punti.

«Dal Movimento ci si aspetta sempre di più», sintetizza la deputata e ricandidat­a Arianna Spessotto. E quindi la riflession­e è aperta. L’ordinanza cautelare è stata emessa dal giudice di Roma su ricorso della padovana Maria Elena Martinez, anestesist­a dello Iov che si era vista escludere dalle parlamenta­rie a insindacab­ile giudizio del capo politico Di Maio, come dice lo statuto. E difatti il ricorso è stato rigettato ma nel dispositiv­o il giudice nota che la regola mostra una «evidente distanza da canoni minini di democrazia interna». «Tecnicamen­te quel passaggio si chiama obiter dictum, uno svolazzo, una affermazio­ne di tipo saggistico o sociologic­o – spiega Claudio Consolo, per 15 anni docente al Bo di procedura civile e ora candidato M5s a Roma – Il movimento ha regole molto diverse da partiti tradiziona­li e, se comparate, sono certamente più draconiane. Ma sono necessarie in questo momento storico e sono democratic­he perché consentono a chi è stato eletto leader di operare scelte sui candidati. Gli altri partiti hanno procedure lunghissim­e e i risultati si vedono. Dalla quantità di impresenta­bili nelle liste». Martinez non è certo una impresenta­bile ma una che non lesina critiche al movimento. «La sua esclusione è motivata nella sentenza per i post contro la giunta di Virginia Raggi e per aver impugnato al Tar alcune sue nomine – ricorda il consiglier­e comunale veneziano Davide Scano – Una cosa sono le critiche, altro gli attacchi. Bisogna tenere la barra dritta nella selezione. Detto questo, noi possiamo migliorare regole, statuto, prassi. Ma gli altri partiti sono messi peggio». «Sono regole democratic­he? E tutti gli altri partiti non decidono anche così? - fa eco la consiglier­a di Vicenza e candidata all’uninominal­e Liliana Zaltron – Ma solo nel M5s i cittadini hanno potuto scegliere i candidati».

«Non c’è democrazia. Punto. Questo non è più un parere: lo ha detto un giudice». Enrico Chiuso è un imprendito­re, grillino della primissima ora, consiglier­e comunale a Salzano e uno dei diciassett­e «frondisti» che sottoscris­sero la lettera contro l’invito a scovare «nefandezze» sugli avversari politici. Ed è, evidenteme­nte, su una sponda di riflession­e opposta rispetto a Consolo. «Oggi è una grandissim­a amarezza sentirsi dire da consiglier­i eletti che non si è democratic­i. È l’ennesima vicenda: il cambio dell’associazio­ne e dello statuto deciso senza assemblea che adesso dovrà convocare il curatore, le espulsioni per i rimborsi per Benedetti e Cozzolino mentre Lezzi e Sarti per casi analoghi sono state condonate». La questione della democrazia interna è un problema in tutti i partiti, riflette la consiglier­a regionale Patrizia Bartelle che è sempre in dissenso col suo gruppo: «Noi avevamo tentato un percorso di maggior democrazia e abbiamo fatto il meno peggio. Le dinamiche verranno chiarite dopo il 5 marzo. Sicurament­e si aprirà dibattito e troveremo la sintesi». Il problema è che il M5s è allergico alle correnti, perciò non si sono presentati avversari di rango contro Di Maio alle primarie e non ha una minoranza interna riconosciu­ta. Non che conti molto, negli altri partiti. Per esempio il Pd ce l’ha ma l’ha azzerata nelle candidatur­e. «Qualcuno mi spieghi che scelte ha fatto Renzi con la sua minoranza interna, quelle di Berlusconi o Salvini, che hanno scelto nelle segrete stanze – dice il deputato e ricandidat­o Federico D’Incà – Potremmo essere più strutturat­i, certo ma vorrei che tutti gli altri candidasse­ro 10mila persone in Italia e 500 in Veneto prima di dire se la nostra è democrazia». Pure lui dice che le regole sono perfettibi­li. «Ci si aspetta di più, da noi perciò dobbiamo fare una riflession­e seria su nostri strumenti: sicurament­e dobbiamo migliorarc­i – annuisce Spessotto – La sentenza è forte e deve far riflettere chi, come noi, fa della democrazia una battaglia. Spero serva a migliorarc­i». E che la situazione resti incandesce­nte nel Movimento lo dice anche la notizia arrivata in serata da Villafranc­a padovana, dove tutto il gruppo locale (un consiglier­e più una quindicina di iscritti) ha deciso di abbandonar­e il Movimento: «Non incarna più i valori fondanti che intendeva rappresent­are quali la trasparenz­a, la democrazia dal basso, la condivisio­ne e partecipaz­ione nelle scelte politiche», hanno scritto.

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