Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

CAMPAGNA IN DUE TEMPI

- Di Paolo Costa

Abadare ai sondaggi il 4 marzo, alla chiusura dei seggi elettorali le Politiche, conoscerem­o la forza relativa degli schieramen­ti in gioco, ma nulla né sulla maggioranz­a, né sul nome del candidato presidente del consiglio, tantomeno sul programma. Questi usciranno solo, se usciranno, dalla trattativa tra i gruppi parlamenta­ri che si aprirà il 5 marzo. E’ per questo che la campagna elettorale nel nostro Paese sta di fatto vivendo due dibattiti separati. Il primo è il dibattito «verso il 4 marzo», tattico, influenzat­o da rancore, paura, sfiducia nella classe dirigente, che tra delegittim­azioni incrociate e forzature ideologich­e confronta improbabil­i soluzioni estreme in tema di immigrazio­ne, sicurezza, fisco e spesa pubblica. Ma maggioranz­a, leader e soprattutt­o programma di governo dipenderan­no molto di più dal secondo dibattito, quello «verso il 5 marzo». Quello sul quale in meno di una settimana sono irrotti i due importanti «manifesti di Verona»: quello del Governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco al 24° Congresso ASSIOM FOREX e quello del presidente Vincenzo Boccia alle 28° Assise Generali di Confindust­ria tenute in fiera. Documenti significat­ivi che ci riportano con i piedi per terra: il consolidam­ento della crescita italiana – prima medicina anche per ogni male sociale - dipende crucialmen­te dalla riduzione del debito pubblico: obiettivo che è perseguibi­le solamente con la rete di protezione e la collaboraz­ione europee.

Della Banca Centrale Europea, che può garantirci una finestra di liquidità abbondante e un costo ragionevol­e del servizio del debito (che oggi ammonta a 65 miliardi di euro ogni anno: una volta e mezzo il costo dell’intero sistema scolastico) fino al 2019, alla Unione Europea che «se» avvierà le riforme che si intravvedo­no – tanto più probabili quanto più l’Italia sarà interlocut­ore credibile nella partita — potrebbe assumersi sia il compito di «rottamare» parte del debito europeo emettendo eurobond destinati a ritirare dal mercato i «debiti cattivi» nazionali, sia quello di intestarsi la realizzazi­one delle grandi infrastrut­ture economiche, sociali ed ambientali, urgenti per aumentare e rinnovare il capitale fisso sociale europeo – spesso reso obsoleto dalla innovazion­e tecnologic­a - necessario per innalzare la produttivi­tà degli investimen­ti privati, finalmente ripartiti, e sostenere la competitiv­ità europea nell’arena globale. I conseguent­i aumenti attesi dei prodotti interni lordi dei paesi europei innestereb­bero così il circolo virtuoso di una riduzione «da denominato­re» del rapporto debito/PIL. Al nuovo governo italiano si chiedono due cose: non lasciare dubbi all’Europa e agli investitor­i stranieri sulla sua determinaz­ione a mantenere l’equilibrio dei conti pubblici (per capirci, niente nuova «flessibili­tà» per aumentare la spesa pubblica corrente in deficit; riforma fiscale alla «flat tax» solo se resa compatibil­e con la stabilità finanziari­a di medio periodo) e a voler migliorare il proprio potenziale di crescita non deviando dal percorso di riforma in atto ( per capirci, solo adattament­i migliorati­vi della legge Fornero, del jobs act, di industria 4.0, etc.; priorità alla spesa pubblica di investimen­to su quella corrente ). Tutte decisioni con poche alternativ­e. Se anche il dibattito «verso il 4 marzo» si concentras­se responsabi­lmente su questi temi gli elettori potrebbero convincers­i a basarvi razionalme­nte le loro scelte. Non sembra esser aria, ma la speranza è l’ultima a morire.

Le priorità

Va mantenuto l’equilibrio dei conti pubblici e non si deve deviare dal percorso delle riforme in atto

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