Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
CAMPAGNA IN DUE TEMPI
Abadare ai sondaggi il 4 marzo, alla chiusura dei seggi elettorali le Politiche, conosceremo la forza relativa degli schieramenti in gioco, ma nulla né sulla maggioranza, né sul nome del candidato presidente del consiglio, tantomeno sul programma. Questi usciranno solo, se usciranno, dalla trattativa tra i gruppi parlamentari che si aprirà il 5 marzo. E’ per questo che la campagna elettorale nel nostro Paese sta di fatto vivendo due dibattiti separati. Il primo è il dibattito «verso il 4 marzo», tattico, influenzato da rancore, paura, sfiducia nella classe dirigente, che tra delegittimazioni incrociate e forzature ideologiche confronta improbabili soluzioni estreme in tema di immigrazione, sicurezza, fisco e spesa pubblica. Ma maggioranza, leader e soprattutto programma di governo dipenderanno molto di più dal secondo dibattito, quello «verso il 5 marzo». Quello sul quale in meno di una settimana sono irrotti i due importanti «manifesti di Verona»: quello del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco al 24° Congresso ASSIOM FOREX e quello del presidente Vincenzo Boccia alle 28° Assise Generali di Confindustria tenute in fiera. Documenti significativi che ci riportano con i piedi per terra: il consolidamento della crescita italiana – prima medicina anche per ogni male sociale - dipende crucialmente dalla riduzione del debito pubblico: obiettivo che è perseguibile solamente con la rete di protezione e la collaborazione europee.
Della Banca Centrale Europea, che può garantirci una finestra di liquidità abbondante e un costo ragionevole del servizio del debito (che oggi ammonta a 65 miliardi di euro ogni anno: una volta e mezzo il costo dell’intero sistema scolastico) fino al 2019, alla Unione Europea che «se» avvierà le riforme che si intravvedono – tanto più probabili quanto più l’Italia sarà interlocutore credibile nella partita — potrebbe assumersi sia il compito di «rottamare» parte del debito europeo emettendo eurobond destinati a ritirare dal mercato i «debiti cattivi» nazionali, sia quello di intestarsi la realizzazione delle grandi infrastrutture economiche, sociali ed ambientali, urgenti per aumentare e rinnovare il capitale fisso sociale europeo – spesso reso obsoleto dalla innovazione tecnologica - necessario per innalzare la produttività degli investimenti privati, finalmente ripartiti, e sostenere la competitività europea nell’arena globale. I conseguenti aumenti attesi dei prodotti interni lordi dei paesi europei innesterebbero così il circolo virtuoso di una riduzione «da denominatore» del rapporto debito/PIL. Al nuovo governo italiano si chiedono due cose: non lasciare dubbi all’Europa e agli investitori stranieri sulla sua determinazione a mantenere l’equilibrio dei conti pubblici (per capirci, niente nuova «flessibilità» per aumentare la spesa pubblica corrente in deficit; riforma fiscale alla «flat tax» solo se resa compatibile con la stabilità finanziaria di medio periodo) e a voler migliorare il proprio potenziale di crescita non deviando dal percorso di riforma in atto ( per capirci, solo adattamenti migliorativi della legge Fornero, del jobs act, di industria 4.0, etc.; priorità alla spesa pubblica di investimento su quella corrente ). Tutte decisioni con poche alternative. Se anche il dibattito «verso il 4 marzo» si concentrasse responsabilmente su questi temi gli elettori potrebbero convincersi a basarvi razionalmente le loro scelte. Non sembra esser aria, ma la speranza è l’ultima a morire.
Le priorità
Va mantenuto l’equilibrio dei conti pubblici e non si deve deviare dal percorso delle riforme in atto