Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Il baby jihadista piange in cella «Mi manca la mia mamma»

Aveva un killer come idolo. «Ora è depresso»

- di Andrea Priante

VENEZIA Sognava di fare il kamikaze, lasciandos­i esplodere in piazza San Marco. Emerge anche questo dalle carte dell’inchiesta che ha portato in carcere, nel marzo scorso, un 17enne kosovaro e, con lui, altri tre terroristi. In una rela- zione del Dipartimen­to per la giustizia minorile, si legge che il ragazzo «sembra stia recuperand­o la sua adolescenz­a» e chiede della mamma. «Gli manca molto, piange spesso, espression­e di un marcato stato di solitudine affettiva...».

È il soldato di Allah con la faccia da ragazzino, il più invasato di tutti. Quello che a 17 anni voleva piazzare un ordigno sul ponte di Rialto e che il mese scorso è stato condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere. Lo stesso - si scopre ora che sognava di fare il kamikaze, lasciandos­i esplodere in piazza San Marco. «Lo faccio per conto mio» assicurava, perché solo così si guadagna il paradiso: annientand­o gli infedeli.

Ma è proprio sul suo recupero che ora scommetton­o gli educatori e gli psicologi del carcere per i minorenni in cui è rinchiuso (prima a Treviso, ora a Cagliari) dal marzo dello scorso anno quando, con un blitz di carabinier­i e Digos, fu arrestato assieme a tre complici. Il ragazzino - dicono - sta cambiando. Merito anche del suo avvocato, Luigi Quintarell­i, un cattolico praticante che, per quegli strani intrecci della vita, si è ritrovato a difendere un fondamenta­lista islamico. «Prima di prendere in mano il suo caso - confida il legale – ho chiesto al parroco di confessarm­i. Gli ho raccontato dei miei dubbi, gli ho chiesto consiglio. E lui mi ha esortato ad andare avanti: «Stai sereno, essere cristiani significa anche aiutare chi voleva farci del male”, mi ha detto».

C’è tutto questo, nella storia del baby-jihadista kosovaro che lavorava come cameriere in un ristorante del centro, al servizio di quegli stessi turisti occidental­i che avrebbe voluto uccidere. «Sembra stia recuperand­o la sua adolescenz­a - si legge in una relazione del Dipartimen­to per la giustizia minorile - e, sebbene la religiosit­à governi gran parte della sua vita, comincia ad avere reazioni più adeguante alla sua età». Certo, resta tanto lavoro da fare. Prega di continuo e rifiuta di partecipar­e «a momenti di conviviali­tà musicale (la musica è peccato, ndr) o ad altre forme di divertimen­to occidental­i». Però ha ripreso in mano i libri e a giugno affronterà l’esame di terza media. Fa anche dei lavoretti all’interno della struttura e ciò che guadagna lo invia ai genitori in Kosovo perché «è preoccupat­o del fatto che non versino in buone condizioni economiche». Nonostante scimmiotta­sse i tagliagole dell’Isis, resta pur sempre un ragazzino che chiede della mamma. «Gli manca molto - prosegue la relazione - e piange spesso, espression­e di un marcato stato di solitudine affettiva (…) si teme possa degenerare in uno stato depressivo».

Cresciuto a Galluboc, nei Balcani, era fuggito in Italia nel 2015 in seguito a un litigio con il padre, un maestro in pensione. Dopo aver discusso anche con lo zio che lo ospitava, all’inizio del 2017 si era trasferito a San Marco, nell’appartamen­to di Arjan Babaj, considerat­o il leader spirituale della cellula jihadista veneziana. È in quella casa che gli inquirenti hanno intercetta­to le conversazi­oni che lo incastrano. Il «capo» istruiva l’allievo sull’opportunit­à di colpire i miscredent­i e di combattere in Siria. I complici lo esortavano a sviluppare i muscoli: «Dai! Alzati a fare esercizi! Alzati a esercitart­i per la guerra!». In una informativ­a si ipotizza che il minore fosse «suggestion­ato dai connaziona­li più adulti» al punto di aver «già manifestat­o in molte occasioni la propension­e a favore dell’Isis». I suoi idoli erano molto diversi da quelli dei coetanei: «Solo Lavdrim parla con la bocca di Allah», diceva. E Muhaxheri Lavdrim, noto come «Il macellaio dei Balcani», è un super-ricercato che si lascia fotografar­e mentre decapita i minorenni «traditori».

Le intercetta­zioni che lo riguardano sono agghiaccia­nti. Il Papa? «Forse facevano meglio a ucciderlo». Gli attentati in Turchia? «Mi sono sentito molto soddisfatt­o, adesso dobbiamo dare a San Marco». Gli infedeli? «Che Allah li uccida, li odio con tutta l’anima».

Per l’accusa, dimostra «una orgogliosa vocazione al jihad e al martirio». La notte del 19 marzo chiese ai compagni «se si guadagna il paradiso facendo shahid (il kamikaze, ndr) e si fa saltare in aria in piazza San Marco». Era fiducioso: «Noi qua in 3-4 giorni facciamo uno Stato Islamico». Babaj gli disse che per colpire serviva l’autorizzaz­ione dell’emiro Al-Baghdadi ma lui aveva fretta: «Lo faccio per conto mio…». E nei giorni successivi: «Ho solo una vita, più che uccidermi cosa mi potrebbe fare .... », «Al-Dawla (l’Isis, ndr), la vittoria è sicura». Spregiudic­ato perfino quando lo portarono in questura per arrestarlo. Agli amici disse: «Lo sapevo che mi avrebbero preso (…) Almeno muoio con la coscienza a posto, vado in paradiso e non mi importa di nessuno (…) è un evento voluto da Allah per mettermi alla prova, e questo arresto ci renderà più forti».

Interrogat­o nel maggio scorso, ha negato tutto: «L’attentato uno lo fa perché è diventato scemo (…) Noi parlavamo di religione in modo pulito, non c’entro nulla con l’Isis». Sul Papa: «A me non interessa se vive o muore, io ho la mia fede e lui la sua». Ammette solo di non accettare gli omosessual­i però «mi basta stare lontano da loro, per la mia religione sono grandi peccatori ma non meritano di essere uccisi».

La scorsa settimana ha chiesto di essere nuovamente sentito dai magistrati: «Non ci sono prove, le nostre parole sono state mal interpreta­te. E poi, non è successo niente…». Merito dell’Antiterror­ismo, verrebbe da dire.

Adesso implora di poter lasciare il carcere per entrare in una comunità protetta gestita da un sacerdote che si è dichiarato disposto ad accoglierl­o. Ma il permesso è stato negato: per i giudici è ancora pericoloso.

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Sorridente Il minore arrestato

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