Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Mediaworld e le «vittime» di Amazon

Protesta dei dipendenti del colosso dell’elettronic­a. Ma altri negozi sono in crisi

- Costa

VENEZIA Ieri mattina hanno protestato perché vedono con timore il futuro dell’azienda e del loro posto di lavoro. Ma dietro lo sciopero dei dipendenti di Mediaworld c’è in realtà un problema ben più ampio che riguarda tutti i negozi di elettronic­a, messi in crisi dal «fenomeno Amazon». In difficoltà ci sarebbero altri operatori nazionali come Trony e negozi come Testolini. «Il vero nemico è la mancanza di regole comuni», mette in guardia Confcommer­cio.

MESTRE Un buco da 17 milioni di euro, centinaia di dipendenti a rischio esubero e lo spettro della chiusura che aleggia sopra ogni punto vendita, compresi quelli di Mestre e Marghera. Ieri i dipendenti MediaWorld di tutta Italia hanno scelto di protestare con uno sciopero, denunciand­o il taglio dei compensi per il lavoro domenicale e la prospettiv­a di licenziame­nti, che l’azienda ha previsto per far fronte al rosso di 17 milioni che pesa sulle sue casse; la promessa di non chiudere alcun centro si è infranta quando è stato annunciato il taglio dei megastore di Grosseto e Milano Stazione. «La società si è rifiutata di comunicarc­i quali sarebbero i negozi in difficoltà, quindi non ci sono garanzie per nessuno - sottolinea Fabio Marchiori, di Uiltucs – Qui in provincia tre anni fa ha già chiuso il punto vendita di Marcon». Ecco perché ieri, davanti alle vetrine di via Zandonai, si sono schierati in picchetto una quarantina di dipendenti provenient­i dai due centri del veneziano (rimasti comunque aperti); in totale, tra zona Auchan e Nave de Vero, Mediaworld conta una settantina di lavoratori, e tra loro tanti puntano il dito contro la concorrenz­a delle catene di vendita online. Il cosiddetto «effetto Amazon» è la minaccia a cui si riferiscon­o gli stessi vertici della società.

Ma non è solo MediaWorld a subire queste tendenza: «Expert per sopravvive­re si è fusa con Unieuro, Euronics e Sme galleggian­o, Trony ha scelto di non riaprire il suo punto vendita di Santa Maria di Sala – spiega Nicola Pegoraro di Fisascat Cisl – Qualcuno resiste meglio di altri, ma solo perché questa moria finisce col concentrar­e i clienti in meno negozi». La preoccupaz­ione è alta. La formula dei centri commercial­i faraonici, che è stato il modello di Mestre e i dintorni in questi anni, è in sofferenza, il nuovo modello vincente sembra essere quello delle dimensioni ridotte, massimo cinquemila metri quadrati. Eppure la sfida contro i colossi dell’e-commerce è un problema a tutti i livelli, come dimostra il lamento di Testolini, che in un decennio ha visto calare il fatturato del 30 per cento, con gli ultimi cinque punti percentual­e sfumati nel 2017, come un colpo di grazia: «È Davide contro Golia – ha spiegato i giorni scorsi Alessandro Bettio, uno dei due soci - Stiamo cercando una piattaform­a economica per vendere i nostri prodotti online, bisogna giocare sul marketing via social, con sito e newsletter. E poi dobbiamo buttarci su prodotti particolar­i». La tendenza a comprare in rete è però particolar­mente forte proprio per i prodotti di elettronic­a, come spiegano i dati dell’osservator­io e-commerce del politecnic­o di Milano e dell’osservator­io dei consumi dell’università di Verona: l’anno scorso il mercato italiano online ha raggiunto i 12,2 miliardi di euro e durante il Black Friday, per fare un esemoio, quasi il 50 per cento degli acquisti è stato fatto sul web. «I colossi dell’online stanno dando l’ultima spallata alle realtà in difficoltà – tuona Monica Zambon, di Filcams Cgil – Per contrastar­li servirebbe il coraggio di investire sul personale, sui servizi, sulla profession­alità: siamo un Paese che invecchia, eppure rinunciamo all’assistenza». Più critica la lettura di Confcommer­cio, che guarda oltre al rivale di oggi: «La verità è che se qui aprisse “l’Amazon italiano” pur seguendo gli stessi metodi del gigante americano chiuderebb­e i battenti in pochissimo tempo – assicura il presidente Massimo Zanon – Il vero problema è la mancanza di regole comuni, la burocrazia che stritola le imprese locali e che le aziende internazio­nali riescono invece a superare perché diffuse in tutto il mondo. Chi è che ha permesso ad Amazon di assumere lavoratori a cottimo, pagati meno di qualunque figura contrattua­lizzata e costretti a turni massacrant­i? Le regole devono valere per tutti».

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